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The Clash – Give ‘Em Enough Rope

Esiste un universo parallelo in cui il secondo lavoro dei Clash è prodotto da John Lennon ed è il loro album epocale al posto di London Calling.

Ma il loro leggendario roadie Steve ‘Roadent’ Conelly, che con tanto zelo si era procurato il numero dell’ex Fab Four, con altrettanta superficialità lo smarrì. Non che Strummer fosse comunque convinto o che Lennon ne abbia mai saputo qualcosa, comunque.

Però resta un sogno affascinante, considerando che – storicamente – il limite più grosso di Give ‘Em Enough Rope starebbe proprio nella questione di chi finì per sedere dietro il vetro della sala di registrazione e dei suoi metodi: Sandy Pearlman.

Americano, già produttore dei Blue Öyster Cult, voluto fortemente dalla CBS – secondo cui The Clash si sentiva di merda, tanto che all’inizio non fu portato sul mercato americano proprio per questa ragione – Pearlman finì per snaturare completamente l’approccio dei Clash, forzandoli a registrare ogni parte fino alla perfezione, rifinendo i suoni e ficcando nel mix molte più sovraincisioni di quelle necessarie («ci sono più chitarre ogni centimetro quadrato di questo disco che in tutto il resto della civiltà occidentale», dirà poi trionfante), sviluppando un buon rapporto solo con Topper Headon, finendo per ritenerlo uno dei migliori batteristi di sempre (non a torto).

Il risultato è che Give ‘Em Enough Rope è… pulito. Se col senno di poi sembra tutto ok è solo perché suona come un album punk rock anni ’90, ma all’epoca sembrò un’evidente forzatura, una sterzata verso l’universo radio-friendly.

Ma i Clash – pur sfottendolo perché in fondo veniva da un universo completamente diverso dal loro (sorriso smagliante, perenne cappellino da baseball, ex critico musicale che aveva coniato il termine ‘heavy metal‘) – rispettarono Pearlman e lo seguirono; lui forse stava solo cercando di fornire la sua versione di quello che vedeva accadere dall’altra parte dell’Oceano e di portare il tutto ad un livello più professionale.

Quindi con gli anni la questione del rapporto tra Pearlman e i Clash sembra essersi ingigantita fino a spostare l’attenzione dal vero problema di questo album, che è un problema di sostanza: alterna brani ottimi ad altri meno all’altezza o comunque ordinari (Cheapskates, All The Young Punks (New Boots And Contracts), Guns On The Roof, Drug-Stabbing Time), probabilmente perché fu interamente scritto dopo The Clash e con la pressione di dover per forza tornare sul mercato. Non per niente la cosa migliore di quel periodo è (White Man) In Hammersmith Palais – uno dei singoli più grandiosi dei Clash, forse il più grandioso – pubblicata sei mesi prima dell’uscita dell’album (sul quale non compare).

Il che non deve sminuire troppo Give ‘Em Enough Rope: la band capì perfettamente quale strada non seguire per il disco successivo; nel trascinare Strummer e Jones a San Francisco per le sovraincisioni, Pearlman svelò loro un intero nuovo universo che avrebbero sfruttato al meglio; è qui che la scrittura di Strummer inizia ad aprirsi al mondo.

L’idealizzazione del terrorismo in Tommy Gun, la famosa t-shirt inneggiante alle Brigate Rosse e la foto della band fuori dalla base dell’esercito inglese a Belfast (pure risalenti a quel periodo) sono l’ultima traccia dell’approccio ingenuo, semplicistico e (ultra)diretto alla complessità delle questioni sociopolitiche dell’epoca.

La storia di Julie’s Been Working For The Drug Squad pare voler raccontare gli imbrogli dell’establishment zoomando fuori dalla prospettiva del singolo caso concreto (un’operazione di polizia passata alla storia come Operation Julie), senza contare l’utilizzo del pianoforte sbarazzino che rende il tutto giocoso e quasi irreale, come si trattasse di un’operetta.

Safe European Home muove dal misero viaggio di Joe e Mick in Giamaica: furono spediti lì – ironicamente senza Paul Simonon, che tra tutti era il più avido consumatore di reggae – per trovare l’ispirazione, ma finirono col girare a vuoto alla ricerca del loro compare Lee “Scratch” Perry e passare più tempo in hotel che fuori, spaventati da quanto fosse pericoloso.

Stay Free è il tributo toccante di Mick Jones al suo amico Robin Crocker, finito in un carcere di massima sicurezza per troppe rapine a mano armata, mentre English Civil War è uno sputo in faccia al nuovo vigore dell’ultra destra inglese.

Insomma Give ‘Em Enough Rope rimane un passaggio fondamentale per i Clash, anche se in fondo il suo lascito sembra molto migliore della sua sostanza.