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The Divine Comedy – Charmed Life: The Best Of The Divine Comedy

Non ce n’è per nessuno: la migliore pop music degli ultimi tre decenni è firmata Divine Comedy.

Il che vale a dire che è tutta un parto della mente di Neil Hannon e che proviene, inaspettatamente, da un posto assai remoto, tuttora un po’ genuinamente ruvido, probabilmente verdissimo (Enniskillen, Nord Irlanda).

E anche che, con buona approssimazione, è passata inosservata ai più.

Magari gli album dei Divine Comedy – dall’esordio Fanfare For The Comic Muse (1990) all’ultimo Office Politics (2019) – non sono da prendere in blocco anche se ciascuno di essi porta con sé ottimi motivi per aprire le orecchie. Allora Charmed Life: The Best Of The Divine Comedy è tanto essenziale quanto imprescindibile.

È anche un compendio auto-esplicativo per intendersi sul concetto di pop music di cui sopra, che è ovviamente molto diverso dalla frettolosa percezione comune, e distante anni luce dalla faciloneria con la quale oggigiorno si confonde l’arte con la merda (o il contrario, fate voi).

Come nei casi migliori, con i Divine Comedy siamo di fronte a qualcosa di assai nobile e allo stesso tempo immediato, terreno, universalmente comprensibile. Insomma ricercato ma in fondo assai facile.

I primi nomi sui quali il talento di Neil Hannon andrebbe misurato sono Beach Boys e Burt Bacharach. Per affinità, perché siamo di fronte ad un artista che è uscito impassibile (e comunque solo sfiorato) dalla follia brit anni ’90, perché siamo di fronte – in fondo – ad un ossessivone perfezionista con una voce divina ed un’inventiva tale che da non aver bisogno di un Hal David.

Venendo al repertorio dei Divine Comedy (e quindi a questo Charmed Life) tre sembrano i brani inevitabili, cioè quelli che proprio chiunque potrebbe trovarsi a canticchiare involontariamente: National Express, Generation Sex e Perfect Lovesong. Probabilmente sono anche quelli più esplicitamente derivativi – una sorta di prosecuzione della grande tradizione della canzone popolare orchestrale, Francia o Californa che sia, consegnatici con rara intelligenza ed efficacia.

Paradossalmente, invece, in un tale tripudio di melodie, quelli più simbolici come Something For The Weekend o Charmed Life finiscono più nascosti; Norman And Norma – che viene dal più recente Office Politics – dimostra che la vena è tutt’altro che esaurita, lo stesso fa l’inedito The Best Mistakes, gettato nel mucchio abbastanza a caso; At The Indie Disco deve ormai considerarsi un classico di questo millennio, con la sua melodia amabilissima, altrettanto disillusa, ed un azzeccatissimo name dropping che fa invidia a Losing My Edge degli LCD Soundsystem. How Can You Leave Me On My Own è avanspettacolo alla maniera di Tom Jones, Sunrise è una personalissima riedizione di Hallelujah, con altrettanta sacralità.

Di capolavori ce ne sono molti quindi. A doverne scegliere uno: Our Mutual Friend. La storia è di quelle dolorosamente atroci, a livello sonoro si tratta praticamente di un musical in chiave minore. Gli ultimi due minuti, esclusivamente orchestrali, sono privi di parole ma carichi di significato.

Da questa antologia dei Divine Comedy sembra quasi di poter trarre una lezione più universale: la vita è perlopiù un casino oscuro e complesso, e nonostante questo ci sono sufficienti occasioni per viverla con una certa leggerezza.