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The House Of Love – The House Of Love

Alan McGee ci aveva visto giusto ancora una volta, e nella seconda metà degli anni ‘80 gli House Of Love colmarono per un attimo almeno uno strano spazio lasciato dallo scioglimento degli Smiths, dall’ormai comprovata instabilità dei Jesus And Mary Chain, timidamente frequentato da alcune band che nel giro di poco sarebbero diventate gran cosa (Happy Mondays, Stone Roses, Ride, Slowdive, My Bloody Valentine), ma che non erano ancora evidentemente pronte, e già troppo stretto per gli U2

Guy Chadwick e Terry Bickers – che avevano messo su il gruppo a Londra, raccogliendo intorno a loro altri musicisti passati alla storia come comparse o poco più – erano tanto talentuosi quanto incasinati: lasciarono fuori dal loro debutto The House Of Love (1988) due acclamatissimi singoli (Shine On e Real Animal), intitolarono il disco come il mini-album che la Creation aveva pubblicato appena un anno prima per farli conoscere (il cosiddetto “German Album“) – e avrebbero chiamato The House Of Love pure il successivo! – esclusero pure un’altra meraviglia come Destroy The Heart. Aggiungete sostanze ricreative a piacere.

Considerata però la qualità del risultato, i due devono essere (quasi del tutto) perdonati: The House Of Love è una granata dritta al cuore; è una di quelle cose che, semplicemente, aprono in due. Trentatré minuti fatti di un’intensità strepitosa e di momenti in cui si resta in bilico sul ciglio dell’assoluto (Love In A Car), come storditi.

Quelle di Chadwick sono storie tossiche, perse e fuggenti; sono ritratti di un’esistenza troppo veloce per essere afferrata, perennemente sospesa tra il desiderio, l’opportunità, la sconfitta e l’autocommiserazione.

La chitarra di Bickers è ovunque, disegna ritmi, timbri e riff che danno colore ad una disperazione tutt’altro che improvvisata. Le sue dita e le sue corde meriterebbero maggior considerazione, dovrebbero essere ricordate almeno alla pari di quelle di Will Sergeant.

La gloria degli House Of Love durò un istante o poco più, e avrebbe potuto addirittura assumere contorni stratosferici: certe aperture di questo album hanno poco da invidiare (appunto) agli U2; ma Chadwick e Bickers non riuscirono a dare seguito praticamente a nulla di ciò che mostrarono nel loro debutto.

Proprio da questo oggi è impossibile assolverli, per questa ragione non li si può guardare con l’indulgenza che pure meriterebbero dopo un’opera del genere.