Dischi

The KLF – Chill Out

Il duo formato da Bill Drummond e Jimmy Cauty rischia di essere ricordato, più che per la musica, per il suo radicalismo anti-establishment (e conseguenti vicissitudini).

Magari a loro sta anche bene così, però sarebbe ingiusto lasciare che la loro follia artistoide si prenda tutta la scena.

The White Room (1991) è fondamentale per raccontare la musica da ballo degli anni ’90 (e per immergercisi), ma è di fatto un prequel. Appena un anno prima, infatti, i KLF avevano pubblicato questo Chill Out: proprio come suggeriscono il titolo e le pecore spaparanzate sul prato in copertina, è un album che ha a che fare con la beatitudine alterata di chi esce (fisicamente, o mentalmente) da una di quelle serate dissolute e fragorose.

Insomma, Chill Out è il trip di chi cerca di ripigliarsi.

Tre quarti d’ora di ambient rarefatto, creati in un unico takeNon è editato. Diverse volte siamo arrivati quasi in fondo, poi capitava di sbagliare e di dover ricominciare tutto da capo», ricorda Cauty) ispirati ai set che i KLF avevano preso a fare insieme agli Orb al club Heaven di Londra, nei quali trovano posto rumori da pastorizia, field music, un sacco di campionamenti (dichiarati o meno, il più clamoroso quello di In The Ghetto di Elvis, ma ci sono anche Albatross dei Fletwood Mac, Pacific State degli 808 State, i Big Country e altra roba molto più oscura) e – più in generale – un’attitudine non distante da quella dei Pink Floyd di Ummagumma.

Le onde del mare, le campane, il cinguettio degli uccellini, lo sferragliare indolente di un treno: rumori ricorrenti che identificano Chill Out come la colonna sonora di un viaggio, ma non gli unici elementi del genere.

Drummond e Cauty avevano iniziato il tutto con l’idea di creare un concept che catturasse «le vibrazioni della scena rave qui da noi. Quando balli tutta la notte in mezzo al nulla e poi arriva l’alba e ti trovi immerso nel paesaggio rurale della campagna inglese». Poi però guardarono una cartina e, senza mai essere stati laggiù, decisero di chiamare le tracce di Chill Out in modo tale che formassero una sorta di percorso lungo la costa del golfo degli States: la Louisiana, il Texas, giù fino al confine con il Messico. Le pecore, quelle, sono 100% british. 

Totale incoerenza, colpo di genio, trionfo dell’immaginazione: il dibattito è ancora aperto. Fatto sta che Chill Out rende perfettamente l’idea stonata che lo anima, a prescindere dalla geografia.

Era il 1990 e i KLF avevano inventato qualcosa che avrebbe continuato a risuonare per tutto il decennio ed oltre.