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The Knife – Silent Shout

knife_silent_shoutRicordo bene il 2006, quando uscì questo disco; erano gli inizi di tutta questa elettronica (già) post anni zero (ameno per me). E mi ricordo che alla radio dell’Università di Verona ne eravamo innamorati, di questo, di Melody A.M. dei Röyksopp (uscito per la verità 5 anni prima), e di So This Is Goodbye dei Canadesi Junior Boys (pubblicato l’anno successivo).

Comunque Karin Dreijer Andersson e Olof Dreijer (per la cronaca, fratello e sorella) non erano alle prime armi, nel 2006.

Già si parlava molto di loro: proprio in quell’anno il loro conterraneo José Gonzalez aveva coverizzato Heartbeat, che in quella versione era finita in uno spot di successo; a sua volta Heartbeat stava in un disco che era piaciuto moltissimo: Deep Cuts (2003), in cui il duo collaborava con un’altra svedese discretamente nota, Jenny Wilson, che metteva la voce sulla meravigliosa You Take My Breath Away; ancora: la voce su What Else Is There?, pezzone definitivo del secondo album dei Röyksopp (The Understanding, 2005) era proprio quella di Karin.

Ma è con Silent Shout che i The Knife fanno davvero il salto.

È un disco densissimo, ma incredibilmente catchy. Anzi, la chiave del suo successo è proprio questa: le melodie che sgorgano da un intreccio sonoro pienissimo, pulsante (neanche il tempo di premere play e la title track sbatte e rimbomba come una folla sudata in un club sotterraneo), gotico (la magniloquenza di Marble House e le sue voci trattatissime), ma che sa calarsi in minimalismi giocherelloni (Like A Pen, che rimbalza acidissima da un canale all’altro), evocazioni di spiriti (Still Light) e riesce citare con sapienza la tradizione dei kratfwerk (Na Na Na).

Le voci sono filtrate, shiftate, in un continuo inseguirsi di acuti, spasmi sintetici e cori di fantasmi che vagano nella tundra, alla ricerca di una cattedrale abbandonata da infestare. Trasmettono l’idea di corpi ancora caldi, intrappolati nel ghiaccio, in un perpetuo grido di aiuto.

Ma dopo Silent Shout il nulla. I The Knife spariscono: solo Karin Dreijer Andersson, sotto lo pseudonimo Fever Ray, si fa sentire qualche anno dopo. Questo disco, ormai pietra miliare dell’elettronica degli anni 2000, sembrava destinato a non avere un seguito.. almeno fino a Shaking The Abitual.

1 comment on “The Knife – Silent Shout

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