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The Rolling Stones – L.A. Friday

LA_Friday_1975-300x300I Rolling Stones. Cioè, loro questo mese di anni ne compiono 50. No, non i singoli (lì siamo molto oltre), la band. E il concetto stesso di Rolling Stones.

Mick, Keith e gli altri, nel dubbio se passare un altro anno in giro per festeggiare come si deve alla faccia del dio Ade, intanto si sono inventati questa cosa di pubblicare una specie di bootleg series esclusivamente on line, che arriva alla terza uscita con questo L.A. Friday.

Diciamolo: sono sempre le solite canzoni, non c’è un cazzo di nuovo. È la stessa roba che probabilmente, se si farà ‘sto benedetto (è il caso di dirlo) tour del 5o°, sentiremo sui palchi di tutto il mondo. Quei palchi megafotonici tipo Lady Gaga o Madonna, solo zeppi di defibrillatori nel backstage; solo che sopra c’è gente che, mentre quelle due giocano alla rivoluzione sessuale post-anni zero, la rivoluzione l’ha fatta davvero e ne porta le cicatrici indosso. Gente che – ormai suona quasi come un auspicio! – sembra in grado di seppellirci tutti, con buona pace del calendario Maya.

Fatta questa doverosa premessa, L.A. Friday altro non è che il bootleg storico del concerto tenuto domenica 13 luglio 1975  al Forum di Los Angeles (sì, domenica: il friday del titolo è un errore delle registrazioni pirata tenuto buono), ripulito, rimasterizzato e ufficializzato.

E giù subito a pensare che al posto di pubblicare certi live-ciofeca nel corso degli anni (tipo Flashpoint nel 1991, ma l’elenco è lungo) si fossero concentrati subito su questo materiale sarebbe stato meglio, anche a costo di passare per nostalgici (nella serie di recente pubblicazione troviamo anche Brusseles Affair, registrato nel 1973 indovinate dove, e Hampton Coliseum del 1981). Ma è il music business, baby.

È un momento particolare per gli Stones: è il primo tour negli U.S.A. con Ronnie Wood, è quello leggendario del pisellone sul palco, è quello senza quasi nessun disco da promuovere (Black And Blue era uscito l’anno prima) e – soprattutto – quello iniziato gran bene, girando per le strade di NY a suonare Brown Sugar dal retro di un camion: un vero e proprio assalto al cuore della Grande Mela. Senza tante pressioni, insomma.

Il live è pirotecnico (per usare un vocabolo ricorrente in questi casi), ed è pieno di momenti memorabili: intanto That’s Life e Outa-Space, lasciate condurre a Billy Preston; ed è  il suo tocco magico che domina tutta la registrazione (vedi It’s Only Rock N Roll, o Honky Tonk Woman, o Ain’t Too Proud To Beg, o… ci siamo capiti, ecco). Quello, e la perfetta interazione – pura adrenalina! – tra Keith Richards e Ronnie Wood (tipo la versione elettrificata di Wild Horses, o la torridissima Rip This Joint, con i fiati che dettano il tempo del baccanale).

Sì, insomma, la solita roba, è solo rock’n’roll, dirà qualcuno…però, però. Resta il fatto che tutto quello che c’è dentro queste ventiquattro canzoni è difficile trovarlo in giro, da cinquant’anni a questa parte. E ogni volta è come fossero – BOOOOM! – una rivelazione violenta. E a fine giornata volume a mille, via la cravatta e giù a fare air guitar su Gimme Shelter: tutta vita, altroché.

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