Dischi

The Stone Roses – Garage Flower

7673d8e1198e492fb699081a46802d42Garage Flower è roba per completisti, però racconta almeno un paio di storie interessanti.

In quel di Manchester, nella prima metà del 1985, Ian Brown, John Squire, Alan Wren (Reni), Andy Couzens e  Pete Garner avevano da poco cambiato il loro nome da English Rose in Stone Roses; si chiusero ai Strawberry Studios di Stockport in compagnia di Martin Hannett (che sino a quel momento aveva già prodotto entrambi gli album dei Joy Division, oltre che i primi lavori dei New Order e dei Magazine) con l’intento di mettere insieme il materiale disponibile e registrare un disco.

La cosa non riuscì, anzi fu un vero disastro.

In quel periodo la genialità di Hannett era completamente offuscata dall’abuso di droghe e si manifestò (diciamo così) solamente nella strenua volontà di fissare un microfono al pollice di Garner per registrare il suono del plettro sulle corde del basso; per il resto, Hannett si addormentava ovunque, o tendeva a chiudersi nella control room impedendo a chiunque di entrare, o – ancora – evocava il fantasma di Ian Curtis; anni più tardi la band ammise candidamente che, comunque, il materiale portato in studio era ancora troppo grezzo: riff, più che vere e proprie canzoni.

Si salvarono solo So Young e Tell Me, che messe insieme finirono per essere il primo singolo degli Stone Roses, pubblicato nel settembre di quello stesso anno; tutto il resto venne sostanzialmente gettato nel dimenticatoio e ci sarebbero voluti altri quattro anni per arrivare all’eponimo album di debutto (prodotto però da John Leckie).

Durante la lunga battaglia legale che vide opposta la band alla Silvertone Records (abbandonata in favore della Geffen, per la quale infatti uscì Second Coming) quest’ultima creò una sussidiaria ad hoc (nemmeno a dirlo: Garage Flower Records) e (senza il consenso dei Roses, ovviamente) nel 1996 pubblicò quelle registrazioni, nel frattempo circolate come The Martin Hannett Record.

Il suono di Garage Flower appartiene ad una band che non aveva ancora trovato la proverbiale quadratura del cerchio, tanto che le cose migliori rimangono (oltre a So Young / Tell Me) le versioni embrionali di I Wanna Be Adored e This Is The One: pur se confuse, grezze e prive degli incastri ritmici che le renderanno addirittura gloriose (cosa che si dovrà alla sostituzione di Pete Garner con Gary Mounfield, “Mani“) sono lì, lambite dagli echi post punk tipici della produzione di Hannett.

Il resto è un caos non da poco: restano certamente distinguibili il songwriting e la struttura dei brani – che sarà comunque parecchio affinata – ma gli Stone Roses del 1985 sembrano avere le idee poco chiare sul loro suono, tutt’altro che fluido, anzi, discontinuo e caotico (anche in ragione di una formazione con due chitarristi: Couzens sparirà poi).

Insomma meglio che roba tipo Getting Plenty, Trust A FoxTradjic Roundabout, Mission Impossibile e All I Want rimanesse chiusa al sicuro in archivio, al più in bootleg, e va comunque presa per quello che è: prove tecniche di trasmissione; il tempo ha aggiustato le cose.