Un altro disco iniziava così. Era il 1965 e Bob Dylan scriveva la storia della musica con Like A Rolling Stone e Highway 61 Revisited. Altri tempi e altri livelli, ma Angles degli Strokes riscatta pinenamente la delusione di First Impressions Of Earth e ripaga un’attesa durata sei anni.
Machu Picchu è un incipit da vertigini e assuefazione: energia, allegria, ritmo. Una cosa bellissima. Ha le stesse caratreristiche di Under Cover Of Darkness, primo singolo e anticipazione del disco. Una doppietta da rimanere fulminati, di quelle che il resto del disco è anche lo stesso, in cui ogni particolare sembra essere al posto giusto. Dimostrazione che la lunga pausa, i progetti solisti e probabilmente anche le critiche negative sono servite per prendersi tempo, ritrovare le energie e lucidare l’argenteria.
Two Kind Of Happiness mescola in parti uguali Cars e U2 (si ascoltino alcuni passaggi vocali decisamente in stile Bono). L’atmosfera si fa più fosca in You’re So Right, in cui emergono somiglianze con i Radiohead più chitarristici. Taken For A Fool rimbalza e rotea vorticosamente su una linea di basso impazzita e farà ballare a lungo nei club più cool.
Meno felici la sintetica Games e la dolce ma spaesata e incompiuta ninna nanna Call Me Back. Gratisfaction riaccende i motori, ma l’hanno scritta già i Queen. Metabolism, irregolare, nervosa e vagamente Muse e Life Is Simple In The Moonlight, lunatica e schizofrenica, conducono degnamente a conclusione.
Produzione impeccabile e strumenti suonati a livelli altissimi: tutti insieme, ciascuno per la sua strada. Casablancas gigioneggia e gioca a fare il trasformista cambiando stile ad ogni brano. Valensi e Hammond incrociano accordi e arpeggi con precisione e perfetta complementarità. Fraiture e Moretti alternano sapientemente ritmiche sommesse ed energiche tirate, senza risparmiarsi puntate solistiche.
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