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The Style Council – Café Bleu

style_council_cafe_bleuNon è solo questione linguistica: quel titolo francese certo solletica, ma c’è un intero universo – un’intera visione – dietro.

Gli Style Council sono la seconda incarnazione di Paul Weller, che da Woking aveva iniziato giovanissimo ed era arrivato alla vetta delle classifiche  con i suoi Jam: punk  sì, ma cosa ben diversa dai capiscena Sex Pistols; quello dei Jam era un grosso revival mod guidato in modo autoritario da Weller – che alla fine se ne stufò, dopo aver spinto l’influenza dei suoi ascolti adolescenziali all’estremo, introducendo pesanti influenze soul nel suono del trio (The Gift, 1982).

E così, praticamente all’apice dell’adorazione, Weller sterza, scioglie la band e insieme a Mick Talbot (già alle tastiere nei Dexy’s Midnight Runners), al batterista Steve White e alla vocalist Dee C. Lee (ex corista dei Wham!, che più tardi diventerà sua moglie) crea gli Style Council. La ragione è semplice: non limitarsi più, non fossilizzarsi nelle facili attese del pubblico. Una sfida.

E questo Café Bleu, debutto pubblicato nel marzo del 1984, è il manifesto di questa nuova proiezione mentale di Weller.

Si apre con uno strumentale jazzato, ritmato e brevissimo (Mick’s Blessing) per poi lasciare il posto alla prima perla: The Whole Point Of No Return, per sola voce (soul) e chitarra (jazz). Un’alternanza che tornerà per tutti i 44′ di Café Bleu, da un lato strumentali che sanno di riviera mediterranea assolata (Me Ship Came In!), di aria umida e lenta, trasognata (la title track), piuttosto che di fumosi caffè francesi (The Paris Match, affidata alla malinconica voce di D.C. Lee); altrove siamo in pieno swing (Dropping Bombs On The White House) o addirittura hip-hop (A Gospel) e white funk (Strenght Of Your Nature).

Puro eclettismo. E tra tanta ricchezza, almeno tre perle che ad oggi stanno lì, tra le migliori composizioni (e sono tante) del Modfather: My Everchanging Moods, You’re The Best Thing, Headstart For Happiness. Tre momenti chiave, tre gemme di pura perfezione emozionale e stilistica, in cui il soul, il jazz e pop si fondono e danno voce alla vera anima di songwriter (anche vulnerabile) di Weller, troppo spessa messa da parte ai tempi dei Jam per evidenti ragioni stilistiche.

Questo è Café Bleu: un caldo maggio parigino (ma di pacificazione), una connessione tra i jazz di trenta e più anni prima e le assolate colline mediterranee, la realizzazione di un sogno europeo.

Nel suo essere atemporale quest’album è invecchiato splendidamente, premiando l’intuizione di Weller di tornare alle radici del northern soul e creare un’immaginario con le orecchie tese verso l’altra sponda dell’oceano e gli occhi fissi oltremanica.

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