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The Sugarcubes – Life’s Too Good

sugarcubes-lifes-too-goodPrima di questo disco l’Islanda era solo un’isoletta di ghiaccio all’estremo nord della cartina geografica. Nell’aprile del 1988 gli Sugarcubes la piazzarono sulla mappa della musica alternativa, e lo fecero con una certa prepotenza.

Life’s Too Good, registrato tra Londra e Reykjavik, è un disco che ascoltato oggi mette ancora i brividi: è curioso, poliritmico, dilaniante.

Sì, c’è Björk alla voce, ed è il colpo ad effetto, più immediato e riconoscibile. Ma è un tratto di evidenziatore su righe e tessiture già ricchissime.

Al centro di tutto, quella che sarebbe rimasta la migliore composizione degli Sugarcubes (che dopo altri due album si sciolsero, gettando la loro chanteuse tra le braccia del successo), Birthday: Björk ringhia, sale e scende mistica, planando sulla storia di una ragazzina di cinque anni con un distorto rapporto con la natura («she keeps spiders in her pockets…») e una ancora più strana attrazione per il suo vicino di casa decisamente più maturo. Il tutto su una tessitura ritmica che folgorò John Peel e quelli del Melody Maker, aprendo la strada delle radio inglesi.

Quello che incanta di Life’s Too Good è che pare completamente slegato da qualunque cosa sia venuta prima: non si rifà a questo o quel filone underground o mainstream. Esattamente come l’Islanda sta lassù, perfettamente a suo agio senza spartire nulla con nessuno.

Gli Sugarcubes riuscirono a creare qualcosa di completamente originale, con le loro ritmiche strane, le voci sovrapposte e le chitarre assolutamente libere.

E Björk, certo, ma quella – come si dice – è (almeno in parte) un’altra storia.

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