È chiaro che il successo di What Did You Expect From The Vaccines ha messo la band di Justin Young davanti ad uno specchio ancora più grosso e profondo.
E allora, via a guardarsi dentro – ma anche a guardarsi e rimirarsi e basta.
Come Of Age inanella una partenza che fa ben sperare, e, ad ascoltare bene, ancora una volta, genera empatia in molti: “giovane ed annoiato a 24 anni, e non sai più chi sei, e allora non c’è speranza, diventa difficile crescere…” (No Hope).
O ancora, “andiamo a letto, prima che tu possa dire qualcosa di reale, prima che tu possa dire cosa provi…” (I Always Knew), “riservato e timido, il tuo ragazzo qualunque; niente piercing, solo fuori forma e spettinato. Ma ho sempre pensato di poter essere qualcuno, potenzialmente, ma ora comincio a pensare che una donna per me non arriverà, perché ho bisogno di lei” (Teenage Icon).
Il tutto corredato da un’esplosività degna di un centometrista appena lanciatosi dai blocchi.
A poco a poco però s’insinua il dubbio che tutto questo spaesamento generazionale sia solamente predicato piuttosto che sentito. Si, insomma: che i Vaccines siano in posa.
Ma questo pensiero non fa nemmeno in tempo a diventare certezza che lo scatto finisce, e più o meno dove inizia Ghost Town, Come Of Age diventa una raccolta di brani che dimostrano quanto e come tra la fretta e la velocità – tra l’urgenza e l’approssimazione – il passo sia breve.
Forse volevano battere il chiodo finché caldo. Forse hanno già detto tutto, ma è difficile trovare il punto in composizioni tipo Aftershave Ocean, Lonely World, Weirdo o Bad Mood (alcuni degni dei Bluetones più irritanti).
Insomma, i Vaccines falliscono nel dare degno seguito a quel furioso razzo segnalatore sparato dalla giungla suburbana londinese che era stato il loro debutto, e insinuano una brutta risposta alla domanda cosa vi aspettavate dai Vaccines? Qualcosa di meglio: la pioggia ha evidentemente bagnato le polveri ed è un peccato.
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