Dischi

The Verve – Forth

La storia parecchio incasinata dei Verve è il paradigma di quanto possa essere difficile tenere insieme personalità di per sé già tanto folli, per di più fluttuando nella pressione cosmica del music business.

Appena dopo la pubblicazione di A Northern Soul (1995), entrato in classifica tra i venti dischi più venduti in Inghilterra, Richard Aschcroft sciolse la band – peraltro reduce da sedute di registrazione particolarmente caotiche, iniziate con un party a base di ecstasy durato due settimane (così vuole la leggenda) – solo per riformarla meno di un mese dopo senza Nick McCabe. Al suo posto presero a bordo Simon Tong, non prima di aver provato con Bernard Butler (allora già ex-Suede), che però scappò dopo un paio di giorni.

Le cose si sarebbero poi aggiustate all’inizio del ’97 quando fu chiesto a McCabe di tornare e il risultato dei quella mossa (e della sua convivenza con Tong) fu Urban Hymns. Consacrazione definitiva, disco strepitoso ma con un unico difetto: dichiaratamente, avrebbe dovuto essere il primo album solista di Ashcroft – che tutt’oggi ne rivendica la piena paternità (a parte Come On, Neon Wilderness e The Rolling People, tre tracce comunque non rinunciabili di quell’opera) – e questo portò al secondo scioglimento.

Lui sentiva di non aver bisogno di loro, gli altri si sentivano invece indispensabili, fine della storia e Mad Richard si lanciò nella carriera solista. Ci fu comunque il tempo di portare in tour Urban Hymns e di licenziare (di nuovo) lungo la via McCabe (quello che più, tra tutti, pensava di essere imprescindibile).

Flash forward al giugno del 2006 e Ashcroft a quel punto aveva pubblicato tre album a proprio nome, con alterne fortune, l’ultimo dei quali – Keys To The World – accolto non proprio calorosamente (Pitchfork gli appioppò un notevole 2.0,  la BBC ritenne che non avesse più nulla da dire, il Guardian lo trattò un po’ meglio ma con altrettanto scetticismo, giusto per fare degli esempi); una mattina irruppe completamente ubriaco e spaesato in uno youth club nella sperduta Chippenham, dove dei dodicenni furono costretti ad assistere attoniti ad una patetica ed inquietante sceneggiata interrotta dalla polizia che lo portò via e lo ingabbiò per una notte.

Fu allora che, secondo la ricostruzione di McCabe, il sempre pacifico Peter Salisbury (che aveva continuato a suonare per lui), alzò il telefono e sostanzialmente gli disse piantiamola con le cazzate, la tua carriera solista è finita, rimetti insieme la band e vediamo come va. Riluttante («è più probabile che si riuniscano i Beatles», aveva sempre predicato), Ashcroft eseguì e stavolta rimase fuori Simon Tong (che comunque nel frattempo era impegnato con il progetto The Good, The Bad & The Queen).

Questo è il contesto – ineludibile – in cui nacque Forth, pubblicato nel 2008 tra l’incredulità generale.

I Verve – pur se affiancati da Chris Potter – non tentarono nemmeno per un attimo di replicare la formula di Urban Hymns; guardarono a ciò che l’aveva preceduto e soprattutto a A Storm In Heaven: composizioni lunghe, spaziali, disorientanti, persino Love Is Noise – scelta come primo singolo – disturba, con quel coro incessante che finisce per entrare nel cervello molto più del suo refrain.

Il problema di Forth sta tutto in questo: non è del tutto privo di fascino, ma è così autoindulgente che troppo spesso gira a vuoto, nel suono e nei testi (che paiono alternare senza soluzione di continuità invocazioni spirituali e banalità insignificanti).

Il mood generale è lisergico ed opprimente: funziona dove la chitarra di McCabe fa miracoli  graffiando o muovendosi a spirale tra mille riflessi o, ancora, appiattendosi in sottofondo a creare crespature insospettabili (Sit & Wonder, Judas, Valium Skies), per il resto va troppo per le lunghe tentando di incorporare ritmi kraut (Noise Epic) o trasmissioni radio (Appalachian Skies) e risolvendosi in litanie esauste (Numbness, Rather Be).

Le consuete intemperanze di Ashcroft portarono i Verve all’ennesimo scioglimento nel giro di un’annetto e se Forth (sotto sotto) fu una mossa per ravvivare i suo percorso solista comunque non riuscì nell’intento (si riaffaccerà al mondo con RPA nel 2010 prima di interrompere il silenzio nel 2016 con These People).

A dispetto del suo titolo, Forth rimane oggi un punto morto.