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The Very Best – Warm Heart Of Africa

very-best-warm-heart-africa-cover-300x300Esterno Africa.
Lasciamo stare per un attimo l’afropop rimischiato dai Talking Heads, dai Vampire Weekend e i viaggi di Paul Simon e Ry Cooder.

Esterno Africa, estate.
E mettiamo da parte anche quei (goffi?) tentativi di ripescarne la cultura, dell’Africa, dare voce alla tradizione. Tutto più leggero, niente roba da terzomondisti laureati.

Esterno Africa, estate, qui, ora.
Nel vilaggio globale.
Ancora, dimentichiamoci di Shakira e le sue pataccate che tanto ci hanno fatto muovere il culo lo scorso anno, disperati nel vedere la nazionale che veniva presa a pallate più o meno da chiunque.

Bisogna saltare indietro al 2009 e spostarsi a nord del continente, in Malawi: è quello il cuore caldo dell’Africa da cui proviene Esau Mwamwaya. E poi più su, verso Londra, dove Esau incontra i Radioclit vendendo una bicicletta ad uno di loro.

E allora la panoramica accelera, il villaggio globale sembra microscopico e scopriamo che il negozio di Esau sta nella stessa strada dello studio dei due produttori, un mixtape insieme (Esau Mwamwaya And Radioclit Are The Very Best) e di lì a poco questo disco, di cui tutti si accorgono davvero solo quando il trio (ormai ribattezzato The Very Best) tira giù il soffitto del SXSW 2010.

La critica si straccia le vesti, la gente balla indemoniata: Warm Heart Of Africa riesce ad unire club culture, metriche hip hop ed echi/ritmiche/voci dell’Africa.

Sì potrebbero citare la straripante title track, che fa saltare dalla sedia, alzare il volume e spalancare le finestre per decomprimere l’euforia (complice Ezra Koenig, che si chiede is hip hop hereditary? senza trovare una risposta), o M.I.A. ospite su Rain Dance, ma questi episodi sono solo una goccia nel mare di un album eccellente (tanto che nella versione cd non sono nemmeno segnalati nella tracklist).

Anche perché i contributi anglofoni finiscono di fatto qui: Mwamwaya si esprime per il 90% in lingua tradizionale, sfruttandone tutto il potenziale (Jalira, Yulia) e alla fine, perdendo ogni punto di riferimento si finisce per lasciare andare i freni inibitori (Kamphopo) e il bisogno di idiomi conoscitui va a farsi benedire del tutto.

Warm Heart Of Africa è l’album ideale da rispolverare con la stagione torrida in arrivo: fresco, sorprendentemente inusuale, ritmicamente perfetto per una grandiosa notte d’estate passata a fare casino, e comunque sufficientemente evocativo per ricordarsene la mattina dopo, nonostante testa e piedi doloranti e il fiato corto.

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