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Video: Steve Albini e la bruttissima esperienza di In Utero

«Non lo dimenticherò mai, c’è stato un momento in cui pagate le bollette, pagati i collaboratori ed il mutuo, sul mio conto erano rimasti cinquanta centesimi».

Se produrre Nevermind aprì a Butch Vig un intero universo di possibilità, lo stesso non accadde a Steve Albini con In Utero.

È cosa nota che la produzione di quel disco non fu una passeggiata. Non tanto  l’aspetto tecnico, dato che fu registrato in due settimane e mixato in cinque giorni, quanto piuttosto tutto il circo che si era sviluppato attorno ai Nirvana: Albini non voleva averci nulla a che fare e pensava (non a torto) che la band fosse circondata da troppi corporate pigs.

Allora praticamente segregò la segregò Kurt & co., impedendo loro ogni contatto con l’esterno, così privando la Geffen della possibilità di metter bocca nel lavoro.

La casa discografica già di per sé voleva un album che suonasse come il precedente Nevermind, non che i Nirvana con un produttore ostentatamente al di fuori delle logiche mainstream. Ma Cobain s’impuntò: Albini aveva prodotto (tra gli altri) i Pixies (Surfer Rosa) e le Breeders (Pod) e lui voleva quel suono.

Quella scelta, combinata con l’intransigenza di Albini, scatenò l’inferno che il produttore racconta in questa intervista allo youtuber / regista Daniel Sarkissian. In sintesi: la Geffen gli fece terra bruciata intorno, praticamente affamandolo per un bel po’ di tempo.

Trovate qui l’intervista completa, che – tra l’altro – apre un interessante squarcio su cosa fosse l’industria musicale negli anni ’90.