Dischi

Savages – Silence Yourself

savages silence yourself This album should be played loud in the foreground.
E ancora: don’t let the fuckers get you down.

Basterebbero queste due indicazioni stampate sulla confezione del disco ad incuriosire, se non fosse che le Savages sono precedute dalla fama di poderosa live band.

E forse il fatto che siano quattro donne a rievocare, nel modo più prepotente che si possa immaginare, l’età d’oro del post punk.

Silence Yourself è un disco con coordinate musicali ben precise, non scopre nulla: ma è furioso, convinto, oscuro, e trascinato dal suono di un basso che da solo sprigiona metà della forza che le Savages mostrano.

È – stranamente – una ricerca di silenzio, quiete, veicolata attraverso un ritmo infernale e metallico.

se il mondo si zittisse
anche solo per un attimo
forse
riusciremmo a sentire
il ritmo distante
di una canzone giovane e arrabbiata
e a ricomporci
forse
avendo scomposto ogni cosa
dovremmo pensare
a rimettere insieme tutto quanto

Non è il silenzio/assenza di suono che le Savages invocano, no. Non potrebbero. E’ piuttosto un ascoltare se stessi, rimettere ogni pezzettino di noi – perso, sparso, deframmentato, logoro – al suo posto, quello che merita (troppi da convincere / troppe cose disponibile / e nulla ti appartiene).

Iniziano Silence Yourself con una citazione di Cassavetes, prendono il nome dalla letteratura (ma non da Don Wislow),  immergono questo loro debutto in toni noir, ben lontano da essere solo immaginario, e cantano con il piglio di Patti Smith senza averne l’età: a differenza di molte altre band, le Savages hanno una precisa identità, che si sovrappone con una missione, un’ideologia. E’ questo che le differenzia. Nulla, nel loro mondo, anche nel loro foreground, è fine a se stesso.

Le Savages osservano (so many skinny pretty girls around.. citiy’s full of / sissy pretty love), sputano (if you tell me to shut uop / I shout it now), vivono l’istinto (she will come back again / get hooked on loving hard / forcing the slut out), in mezzo ad un turbinio di chitarre soniche e distorsioni che parlano alla pancia.

E di lì, a tutto il resto.

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