Dischi

Spoon – Girls Can Tell

It’s like we knew two of you man
the one before and after we shook hands
taking the calls but in all forgetting what’s been said

La seconda vita artistica degli Spoon – quella, in qualche modo, definitiva – iniziò un attimo prima di Girls Can Tell.

Iniziò con un brano intitolato The Agony Of Laffitte, indirizzato dritto dritto a Roy Laffitte – il tizio della Elektra Records che li aveva inseguiti per oltre un anno, li aveva convinti a firmare per tre album e a quel punto li aveva abbandonati al loro destino non facendosi più sentire.

La Elektra non era rimasta esattamente entusiasta di A Series Of Sneaks, lui passò alla Capitol e l’etichetta stracciò il contratto con la band; l’esperienza era durata quattro mesi.

A quel punto la delusione e l’amarezza stavano prendendo il sopravvento e Britt Daniel aveva seriamente pensato di riporre ogni ambizione. Poi però – tra un lavoro per tirare a campare e l’altro, tra una relazione incasinata (quella con Eleanor Friedberger, al tempo Fiery Furnaces ed oggi solista) e una vita sospesa tra AustinChicago e New York – pensò che la Elektra non meritasse di avere l’ultima parola sulla faccenda e sulla sua band, scrisse The Agony Of Laffitte e riuscì pubblicarla attraverso la Saddle Creek Records, rincarando la dose sul lato b (Leffitte Don’t Fail Me Now).

Il risultato non fu certo un exploit, ma almeno terapeutico, e l’idea di mollare fu archiviata.

Ora del 20 febbraio 2001, giorno in cui Girls Can Tell fu pubblicato, erano passati quasi tre anni da A Series Of Sneaks e molta – proverbiale – acqua sotto i ponti: gli Spoon si erano accasati alla Merge e rimessi in carreggiata.

Non che avessero ancora trovato una lineup definitiva, ma Jim Eno aveva fatto in modo che il fortunato incontro con il produttore Mike McCarthy si rivelasse effettivamente proficuo – mettendo a disposizione lo scantinato della sua casa di Austin per registrare – e Daniel aveva affinato di molto le sue doti compositive.

Soprattutto, aveva nuovi punti di riferimento: non più WirePixies e post punk, ma i girl groups dei sixties, la Motown (a cui arrivò attraverso Get Happy!! di Elvis Costello) e i Kinks.

Un cambiamento che – a stare (molto) attenti – si potrebbe notare senza nemmeno ascoltare il disco: Girls Can Tell è il titolo di un originale di Phil Spector inciso dalle Ronettes e dalle Crystals, il vinile che gira in copertina, sfocato dal movimento, è This Nation’s Saving Grace dei Fall.

Poi, però, Girls Can Tell lo si mette su ed è un gioiellino di poco più di mezz’ora che arrivati in fondo si ricomincia da capo, proprio come molti album di quel periodo d’oro.

Il segreto, forse, è che sembra viaggiare ad un ritmo molto più alto del mid-tempo che lo domina (un effetto che gli Spoon riprodurranno molte volte a venire): un’impressione data dagli incastri ritmici, con basso e batteria sempre in primo piano (a partire dalla strepitosa apertura di Everything Hits At Once) e la chitarra che per la maggior parte delle volte preferisce contribuire  alla creazione di questi assurdi pattern sincopati più che guidare o prendersi spazi al centro del suono.

Questa architettura sostiene i brani di Girls Can Tell e, contemporaneamente, ne definisce i contorni (ben più certi e netti che in precedenza). All’interno si muovono melodie ricavate da intarsi di mellotron, contrappunti di calvicembali e viole, vibrafoni – una ricchezza strumentale altrettanto inedita e sintomo di una rinata creatività.

Dove le chitarre emergono dalla loro funzione prettamente ritmica, sono incantevoli deflagrazioni come in Believing It’s Art o linee sottili come in Chicago At Night; Fitted Shirt è un riassunto dei Led Zeppelin in formato bonsai; Take The Fifth sembra uscita dalla penna di Ray Davies.

Le liriche di Britt Daniel riflettono, ovviamente, quei tempi incasinati e fatti di delusioni artistiche ed emotive; il suo modo di cantare è un instant classic – e poi provate a scriverla voi una lovesong come Anything You Want, in cui convivono teenage drama e disillusione adulta, che raggiunge l’apice mentre lui fugge dal microfono sul finale di un verso come «‘cause you know you’re the one and that that hasn’t changed / since you were nineteen and still in school waiting on a light / on the corner by Sound Exchange…», rendendolo quasi inefficace se trascritto, ma deflagrante quando ascoltato.

Girls Can Tell e la sua euforia sottile e contagiosa rappresentano la quadratura del cerchio degli Spoon. Il loro merito più grande è quello di non essersi accontentati di aver trovato la formula perfetta (o almeno, migliore per loro) ma di averla poi piegata, perfezionata, sconvolta a volte, per creare una serie di album esaltanti da lì in poi.