Dischi

Television – Marquee Moon

Se mai doveste trovarvi a spiegare che senso abbia maneggiare una chitarra, non vorreste forse portare come esempio Marquee Moon?

Pessimo disco per capire come farlo – perché la prima regola, dalla pallacanestro a tutto il resto della vita, è sempre la stessa: prima bisogna dominare i fondamentali -però ottimo per comprendere cosa ci si può inventare con sei corde tese su un pezzo di legno ed un po’ di elettricità.

Eppure, quando venne pubblicato nel febbraio del ’77, solo gli inglesi colsero la grandezza di questo disco, spedendolo al 28° posto in classifica; in patria fu assolutamente ignorato: quei pochi che se ne occuparono (e che inevitabilmente oggi siedono dal lato sbagliato della storia) furono troppo impegnati a sorprendersi che un album del genere fosse sbucato fuori dalla scena del CBGB, che all’epoca già poteva fregiarsi degli esordi di Patti Smith (1975), Ramones e Blondie (1976) e – a posteriori – fu il brodo primordiale del punk.

I Television di punk avevano gran poco se non l’attitudine, ma erano stati loro i primi ad esibirsi lì, nel 1974; solo ci vollero tre anni di tentativi andati a vuoto per arrivare al debutto discografico.

Il fatto è che la loro stessa formazione poggia nella leggenda: nacquero dall’incontro tra Thomas Miller – alias Tom Verlaine – e Richard Hell (esatto: quello che ispirò Malcom McLaren e l’intero fashion punk), ma quest’ultimo mollò la band nel ’75 per formare gli Heartbreakers (alias Johnny Thunder & The Heartbreakers) e poi i Richard Hell & The Voidoids; il suo rimpiazzo, Fred Smith, suonava il basso nei Blondie fino a cinque minuti prima («i Blondie stavano affondando e i Television erano la mia band preferita, perciò…») ed gli va riconosciuto il merito di aver presentato a Verlaine Andy Johns (fratello minore di Glyn, produttore di Eagles, Who, Faces, Steve Miller Band), che avrebbe infine co-prodotto Marquee Moon (n.b. non male avere nel proprio curriculum questo album ed Exile On Main St. degli Stones, no?).

Stiamo divagando: il punto di Marquee Moon è il suo suono lunghissimo, precisissimo, accordatissimo… ma altrettanto violento e totalmente freak.

Si, forse Lester Bangs ci aveva visto giusto: tra i Television e i Grateful Dead non c’erano più di due gradi di separazione (e questo lo annoiava a morte), però la band di Jerry Garcia non aveva una sezione ritmica formata da Fred Smith e Billy Ficca, aveva un sacco di blues nel proprio DNA (assente nella band di Verlaine) e nei momenti migliori si elevava con un certo distacco (Dark Star).

Invece Marquee Moon no: pur nel suo momento più esteso – cioè la squillante title track – ha i piedi ben piantati nel sordido di quella metropoli, NY, sugli stessi marciapiedi lerci dai quali giusto dieci anni prima erano saltati fuori Lou Reed e i suoi Velvet Underground.

Le telecaster di Verlaine e Richard Lloyd brillano di un pallore inquietante mentre s’intrecciano pretendendo la stessa attenzione di Coltrane, di un’equazione, del lancio di un satellite.

Ma è solo squillante sadismo, e incanto: potete lasciare andare, il fascino di Marquee Moon sta (anche) nel fatto che rappresenta più un modo di fare che di essere; non è così cerebrale, non è così pretenzioso come appare e anzi è concepito con il giusto distacco da risultare più digeribile di un qualsiasi lavoro di Hendrix, o ben più divertente delle spacconate dei Led Zep.

Insomma: scegliete voi se durante questi 46′ spaccare tutto con una mazza da baseball o fermarvi ad ascoltare, incantati come serpenti.

Involontariamente, i Television ruppero una grossa regola del ’77 – vietato gigioneggiarsi con la chitarra – mostrando per primi che “punk” non era tanto un suono quanto un modo di fare; insomma: erano già post e così tanto avanti che da allora neppure loro stessi riuscirono più a creare qualcosa del genere, figuriamoci altri.