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The Shins – Port Of Morrow

The-Shins_Port-of-morrow-300x300Sarà che non capita più così spesso, ma per un sacco di giorni non sono riuscito ad andare oltre la traccia numero 3 di questo disco, peraltro saltando la numero 1.

Insomma: per me Port Of Morrow per un bel po’ poteva essere solo Simple Song e It’s Only Life: la prima perché è perfetta, la seconda per lo stesso motivo (e ha pure un incedere che sembra di stare in Inghilterra in pieni anni ’90 – ci siamo capiti).

Invece gli Shins (o meglio il solo James Mercer: ormai si tratta di una one man band) di momenti del genere nel disco ne piazzano un sacco (tipo 40 Mark Strasse).

Il risultato è che ci si trova di fronte ad una grossa mutazione rispetto al passato, anche quello più prossimo: dove Wincing The Night Away (che risale al 2007), giocava a nascondino, Port Of Morrow si sdraia placido al sole primaverile; e saltano fuori influenze prima camuffate: il lavoro di produzione di George Martin (qui è Greg Kurstin), il krautrock, il grande pop britannico.

E piace pensarla così, che quella bestiola in copertina, sola in cima alla fine del sentiero, sia in realtà Mercer stesso che guarda dall’alto la felicità conquistata senza dimenticare la strada percorsa: l’infanzia girovaga, l’abbandono dei vecchi compagni, l’abbandono della Sub Pop e la creazione della sua Aural Apothecary, il seguire le intuizioni non facili, il lasciarsi andare languido alla vita familiare.

Perché Port Of Morrow è un album che riesce a dare voce a quell’agrodolce follia della vita,  spesso in bilico e che basta un niente per trovarsi solo sabbia tra le mani: «could be there’s nothing else in our lives so critical / as this little home», potrebbe andare in panne tutto in un momento.

Ma la grande lezione è che bisognerebbe provarci sempre, ad essere coraggiosi.

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