Dischi

Verdena – Volevo Magia

Volevo Magia sembra dire molte cose. Sui Verdena certo, ma forse soprattutto su di noi che stiamo da quest’altra parte.

Dice che il tempo è passato, che sta sfuggendo, che va a nascondersi per sempre sotto i tappeti, ovunque per non essere ritrovato.

Dice che da questa fotografia in continuo movimento ne usciamo un po’ stropicciati, magari imbolsiti, e che facciamo ogni giorno un po’ di fatica in più a tirarci insieme quando serve.

Dice che c’è molta stanchezza attorno e che la vita probabilmente non è mai andata dritta come la abbozzavamo nei nostri vagheggi adolescenziali, perché è un affare quotidianamente tortuoso e spiazzante.

Dice che certe volte uno vorrebbe solo vomitare, quantomeno per le vertigini provocate da quella sensazione acida, e ruvida, che pare certe volte volerci tenere in piedi a tutti i costi – come una specie di sortilegio elettrico e crudele – e certe altre volte pare volerci fiaccare buttandoci addosso tanto peso da costringerci a reagire o scegliere di barcollare verso l’apatia.

Ma Volevo Magia sembra anche dire che – insomma – ormai sarebbe anche il caso di venire a patti con tutto questo. Di imparare a cambiare, adattarsi, sopravvivere.

Perché attorno a noi esistono sprazzi di bellezza inaudita e di gioia quasi intollerabile. Magari proprio nell’intempestività trovano la loro ragion d’essere, ma sono abbastanza per alzare la testa. Non è nemmeno questione di amore, piuttosto di cura e attenzione.

Le prime luci dell’alba che schizzano su un campo incolto e teso di nebbia gelida, il sole che beffardo si mostra giusto per tramontare lungo un cielo rimasto grigio fin lì. Roba così, roba di cui l’ottavo album dei Verdena – atteso, destrutturato, rabbioso e a tratti raggelante come è – è zeppo, a cercar bene.

Ecco: volevamo magia, ci ritroviamo questo. Ma è abbastanza, deve esserlo.