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Ben Folds Five – Ben Folds Five

ben-folds-five-300x300La notizia è ufficiale da un po’: tornano sulle scene (anche) i Ben Folds Five, con un disco e un tour in autunno.

E quindi, sembra proprio di saltare agli anni ’90 -quando forse s’era anche troppo giovani per capirci qualcosa.

Bello ripescare questo debutto oggi: Ben Folds Five è il suono di tre ragazzi con coraggio e idee ben chiare.

Con quel suono fatto solo di basso/batteria/pianoforte guardavano indietro (Elton John, Randy Newman), riportando in auge uno strumento che sembrava essere stato spazzato via nei primi ’90 (dal grunge) e, ancor prima, sintetizzato fino a perdere ogni colore (negli anni ’80). E nel frattempo, facevano fare al piano un balzo in avanti notevole, dimostrando che ben potesse servire ad uno storytelling scazzato e per nulla pomposo.

Insomma, a Ben Folds va dato merito anche di aver avuto un’intuizione non indifferente: dove i Pavement trasmettevano i loro umori incasinati con la nevrosi chiattistica, i Ben Folds Five (che poi erano, e sono, in tre) si sforzavano (fisicamente e concettualmente) di trasferirli su tasti bianchi e neri e fuori moda.

Won’t you look up at the skyline,

at the mortar, block, and glass

and check out the reflections in my eyes

see they always used to be there,

even when this was all was grass…

Ben Folds Five è un concentrato di malinconia suburbana: suona come  la periferia che non lascia scampo, sembra provenire da un (non)luogo in cui la città si diluisce e dirada, in qualcosa di fisicamente indescrivibile.

In ricordi adolescenziali di serate scazzate (Julienne), in solitudini represse («some summers in the evening after 6 or so/ I walk on down the hill / and maybe buy a beer / I think about my friends/ sometimes I wish they lived out here / but they wouldn’t dig this town»), in rapporti incasinati («the “problem with you” speech / you gave me was fine / I liked the theories about my little stage / and I swore I was listening/ but I started drifting/ around the part about me acting my age»), perennemente in bilico tra l’ironico scazzo adolescenziale e la pesantezza dell’età adulta («as I’m growing older I’m bored / I remember when misery thrilled me much more / when I can’t relax / and I’d like to go back / but that’s gone»).

Ben Folds Five, in fondo, è un album che parla di sconfitte: di quelle che si materializzano troppo tardi, ormai irrimediabili.

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