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Brunori Sas – Vol. 2: Poveri Cristi

DF62KR.pdfSecondo album di Brunori Sas, già dal titolo un cambio di prospettiva: Poveri Cristi.

Se Vol. Uno era un romanzo di formazione in gran parte autobiografico, Vol. 2 volge lo sguardo agli altri. Quegli altri che Brunori racconta e talvolta celebra, in una sorta di epopea dell’uomo medio (quando non mediocre).

Un’epica di affanni, incertezze, lavoro precario. Soprattutto, al centro della poetica di Poveri Cristi ci sono degli esseri umani disperati dai loro limiti, e disperati perché limitati. Ali spezzate e illusioni volate via con i vent’anni. Sogni infranti contro il granito del reale.

E dunque c’è Il Giovane Mario, che non riesce nemmeno (tragicomicamente) a suicidarsi. Si sveglia in ospedale e accanto alla moglie che lo guarda «con gli occhi di una madre che perdona l’ennesima bugia».

C’è Rosa, spazientita di aspettare l’amore emigrato al nord in cerca di lavoro, che si sposa con un’altro dopo anni di promesse; e nemmeno ha il coraggio di confessare al futuro sposo che non ha avuto la forza di attendere il suo ritorno.

C’è chi si è dato alla bottiglia, e vaga insonne in cerca di qualcosa, schiacciato dal peso di una vita che non è andata come avrebbe voluto (Una Domenica Notte). Tutti perdenti cronici, per nulla belli, soli in mezzo alla tempesta e con poco a cui appigliarsi (Bruno Mio Dove Sei), e spesso spinti all’estremo (Animal Colletti).

Poveri Cristi è un disco cantautorale, nell’accezione più classica e italiana del termine. Lo è nei nel suono (sempre essenziale e quasi mai esuberante), lo è nel racconto.

In estate Rolling Stone ha pubblicato una serie di articoli che, partendo da De André, smitizzavano il luogo comune del cantautore. Il succo era: qui in Italia abbiamo elevato i cantautori e il loro essere gente del popolo sino a santificarli. Ma è vero tutto questo? Che persone erano (sono..) in realtà? E i compagni, in quei tempi d’oro, che ne pensavano? (non bene, vedi il famoso processo a De Gregori) Quale eredità hanno lasciato? Facciamo bene ad averne nostalgia?

La migliore risposta, poi, si trova sempre lasciando da parte certe sovrastrutture, ascoltando gli album e L’Avvelenata di Guccini. E, a questo punto, anche Poveri Cristi.

Il punto è che chi tiene in mano una chitarra non deve per forza avere risposte. Per molti è solo un modo di porre domande.
C’è anche chi dice che uno di certe cose non possa cantare, se non le vive di prima persona è solo un ipocrita, o, bene che vada, alla fine del giorno non cambia nulla, che ne parli o meno. (vedi il pastore sardo, presunto rapitore, che posto avanti al fatto che De André, dopo la segregazione, avesse sposato la causa del popolo della sardegna usando l’immagine degli indiani d’America, risponde che tanto non è cambiato nulla, che “arrivano molti di questi intellettuali, scrittori, poeti, ma passono come il vento sopra il mare, muovono un po’ l’acqua e poi spariscono“).

Certo la rivoluzione non si fa con le “canzonette”. Ma il ruolo di alcune canzoni è quello di far pensare, ed il ruolo della poesia magari di consolare. Forse non sposta una virgola concreta, ma serve.
Provare a leggere Prima o Poi l’Amore Arriva di Benni, (ad esempio) con il cuore spezzato, per credere.

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