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Clinton Heylin – All The Madmen: il lato oscuro del rock britannico

Anche se Barrett gli sembrò «su di morale e vivace», [Mick] Rock ricorda anche che «rideva in momenti molto, molto strani, come se qualcuno avesse detto una barzelletta, ma era una barzelletta tutta sua».

Nonostante quella allegria un po’ forzata, c’era l’ineffabile sensazione che Barrett sapesse già di aver scritto la sua ultima canzone; alla fine di quel pomeriggio, si offrì di mostrare a Rock, prima che se ne andasse, un libro con tutti i suoi brani, quindi aggiunse con tono criptico: «in realtà non c’è niente da dire».

E’ lecito sospettare che fosse proprio così.

all_the_madmenAll The Madmen: il lato oscuro del rock inglese è un libro che tenta – ambiziosamente – di tracciare una sorta di storia della follia che ha attraversato alcuni personaggi chiave della musica britannica.

Pubblicato nel 2012, in Italia da Odoya, è opera di Clinton Heylin,  stimato saggista il cui soggetto preferito sembrerebbe essere Bob Dylan*.

Per fugare subito ogni dubbio: l’autore non pare avere alcun intento (né background) puramente scientifico; piuttosto, concentra la sua attenzione sul decennio 1965-’75 e, nel seguire in parallelo le vicende di David Bowie (che ad un certo punto definisce «sempre pronto ad impadronirsi di un trono vacante»), Syd Barrett e i Pink Floyd, Pete Townshend e i suoi Who, Nick Drake e i Kinks (ma anche di tutta una serie di autori e band la cui fama non è paragonabile a questi), evidenzia e racconta le loro caratteristiche di lunatics, matti.

In alcuni casi potrebbe trattarsi di stramberie, estreme timidezze e depressione (mischiate insieme in Nick Drake), vanesie forzature (pare di intravvedere questa tesi ogni volta che Heylin si cimenta nel raccontare Bowie e la sua trasformazione da ragazzo di Brixton con pretese autoriali a star da palcoscenico), crolli nervosi e smarrimenti (mettiamola così, ma in ogni caso nessuno dovrebbe aver alcuna curiosità di ascoltare dischi come Muswell Hillbillies o Preservation Act 1 dei Kinks, nemmeno spinto dalla lettura di questo volume), ma c’è posto per veri e propri sconfinamenti nella schizofrenia (Syd Barrett).

A ben vedere la forza di All The Madmen sta nel riuscire a fornire una prospettiva diversa dall’abusato luogo comune dell’artista un po’ folle – una definizione spesso usata indistintamente sia in senso apologetico, sia compiacente – puntando dritto al disagio e alle sue manifestazioni.

Un’opera che riesce a grattare sotto la superficie di alcuni dischi-capolavoro, o generalmente ritenuti tali: (la lunga ricerca dell’io che portò Bowie a) Ziggy Stardust (e i suoi immediati successori), Tommy QuadrophoeniaBryter LayterPink Moon (che all’epoca nessuno si filò), The Dark Side Of The Moon (tra l’altro indagando a fondo il rapporto tra i Pink Floyd ed il diamante pazzo Syd).

L’effetto è una totale smitizzazione di quegli album e dei loro autori (involontariamente, si salva solo Townshend, che aveva immaginato Quadrophenia ben prima della sua realizzazione, predicendo la fine del sogno degli anni ’60), che Heylin dipinge impegnati in un poderoso atto di autoconservazione (e perpetrazione del mito) almeno dal ’74 in poi.

Alla fine, con le sue trecento pagine All The Madmen rappresenta la migliore dimostrazione della tesi di Ray Davies secondo cui «chiunque dica che la creatività deriva dall’ispirazione divina ha sicuramente torto, particolarmente nel mio caso. Non scrivevo canzoni per mia moglie, per mio figlio mai nato, Dio o la patria, le scrivevo per mantenermi sano di mente».

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*(suoi Bob Dylan: Behind The Shades; Revolution In The Air: The Songs of Bob Dylan: Vol. 1: 1957-73; Still On The Road: The Songs of Bob Dylan Vol. 2: 1974-2008; Dylan Day By Day: A Life In Stolen Moments; Saved! The Gospel Speeches of Bob Dylan; ad onor del vero, ha lavorato anche su Bruce Springsteen, Beatles, Velvet Underground, Sandy Denny, Van Morrison e molti altri).

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