Appunti

White Riot, il primo singolo dei Clash

«Prende per il culo i bianchi, il fatto che non siano capaci di combattere per i propri diritti e nemmeno di divertirsi, mentre la gente di colore, i neri, sanno fare benissimo entrambe le cose […] Il tratto essenziale del punk non era l’odio, ma il disprezzo per l’idea di aver diritto a lavorare, o di dover comunque di fare qualcosa. Era una cosa tipo “fanculo, non me ne frega un cazzo, voglio solo divertirmi”, e sta tutto lì, in White Riot».

Così Shane McGowan racconta il primo singolo dei Clash, White Riot, pubblicato il 18 marzo 1977, che precedeva di venti giorni The Clash.

Il suono di una sirena e tre accordi, ritmo veloce e saltellante, tanto semplice che spesso Mick Jones – quando ormai i Clash erano diventati qualcos’altro – si rifiuterà di suonarla dal vivo (troppo grezza). Questa single version riapparirà sulla versione americana dell’album di debutto (datata 1979), mentre su quella inglese i Clash decisero di includere una precedente versione – si tratta di una demo registrata nel ’76.

White Riot è cruciale non solo perché fu il biglietto da visita dei Clash – che forse allora non immaginavano di essere destinati all’eternità – ma anche perché nella sua schiettezza, essenzialità e brevità riesce a mettere insieme due aspetti che li caratterizzeranno fino alla fine: l’attitudine riottosa (ma) mai fine a se stessa; di qui in poi ci sarà sempre un messaggio politico nelle canzoni, un pungolo sociale.

_46399814_riotIn questo caso, appunto, la critica al generale disinteresse dei bianchi a far valere le proprie ragioni anche in modo sovversivo. Magari si tratta di una visione ingenua, certamente va contestualizzata: Joe Strummer e Paul Simonon – autori della canzone – avevano preso parte ai riots scoppiati durante il Carnevale di Notting Hill dell’anno prima (e una foto di quegli eventi finirà anche sul retro di copertina di The Clash) e avevano visto i loro fratelli neri – al culmine dell’esasperazione – rivoltarsi in massa contro la polizia (e certamente non si erano sottratti allo scontro), qualcosa che un bianco (o un’intera folla di bianchi), per quanto disperato, non avrebbe fatto.

White Riot arrivò ad un’apprezzabile posizione in classifica (38° posto), nonostante pochissimiclash_caroline_coon passaggi in radio (ma dovuti soprattutto al solito John Peel).

La copertina era una rielaborazione della foto scattata da Caroline Coon, giornalista di Melody Maker, in occasione del primo servizio dedicato interamente ai Clash, pubblicato nel novembre del 1976: «avevo portato con me la macchina fotografica, ho scattato una foto del gruppo contro il muro con le mani alzate e quando si sono girati ho visto che sulla schiena di Joe c’erano scritte le parole “HATE AND WAR”, che sintetizzavano esattamente il punk. Era il contrario di “pace e amore”, era l’antitesi degli ideali hippie; un duro, clamoroso, rabbioso, anarchico stop a tutto il tronfio rock’n’roll istituzionalizzato».

Infatti la b-side di White Riot, 1977, è passata alla storia per quel «no Elvis, Beatles or The Rolling Stones, in 1977» sintomatica espressione di una generazione che voleva spezzare i legami sociali e musicali con il passato.. ma, insomma, chiedete a Mick Jones da chi imparò a suonare così la sua chitarra.

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