Dischi

Manic Street Preachers – The Ultra Vivid Lament

Si tratta di saper invecchiare bene, diciamo con grazia. Non è affatto facile, soprattutto artisticamente, ma con The Ultra Vivid Lament i Manic Street Preachers dimostrano di avere un’idea abbastanza chiara ed efficace di come fare.

E non era affatto scontato date le premesse: l’irruenza e la foga degli esordi, il fatto che qualcuno di loro si sia letteralmente perso per strada e non sia invecchiato affatto, alcuni (fisiologici) passaggi a vuoto, altri che vengono generalmente considerati tali anche se non lo sono affatto (Lifeblood), reviviscenze improvvise e folgoranti (Journal For Plagued Lovers) e rivendicazioni politiche che sembrano quasi fuori tempo per come sono andate le cose.

E quindi eccoci di fronte all’album numero quattordici, annunciato come una specie di cambio di direzione che avrebbe tirato in mezzo gli ABBA e Bowie e chissà che altro ancora. La verità è che i molti spunti super-orecchiabili di The Ultra Vivid Lament sono stati sempre nelle corde dei Manics, così come loro hanno sempre avuto la capacità di trasformarsi senza preavviso in una specie di ibrido – molto convincente – tra i tardi Roxy Music e i Simple Minds.

A grattare sotto la superficie, quindi, una differenza vera rispetto al passato sta nel fatto che questo è un disco composto soprattutto al pianoforte e, alla fine, riarrangiato per chitarra, levigato per bene dal solito Dave Eringa e mixato in ultra HD. L’altra è che si tratta di brani tutti molto ispirati, per certi versi anche facili e (cosa più importante, dato che proprio da questo punto di vista l’immediato predecessore Resistance Is Futile non aveva certo entusiasmato) ottimi a livello di scrittura – il giusto equilibrio tra mestiere e creatività, una di quelle cose difficilissime da gestire dopo tre decenni.

Certe volte siamo quasi verso il miracolo: Quest For Ancient ColourThe Secret He Had Missed, Don’t Let The Night Divide Us, (soprattutto) Orwellian – sono episodi in grado di pretendere un posto speciale nel lunghissimo repertorio dei Manic Street Preachers.

C’è anche qualche ospite a rendere prezioso il tutto: Julia Cumming dei newyorkesi Sunflower Beam a ricamare perfettamente la già menzionata The Secret He Had Missed, addirittura Mark Lanegan che contribuisce ad alzare vertiginosamente il tasso di oscurità di Blank Diary Entry.

A chi, poi, possa (or)mai interessare dei Manics fuori dalla (solidissima) fanbase – pur con un album tanto ben predisposto – è verosimilmente una domanda destinata ad una risposta spiacevole, ma anche una questione del tutto differente e che nulla sposta della bontà di The Ultra Vivid Lament.