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My Bloody Valentine – m b v

my-bloody-valentine-mbv-608x605Una cantilena su un mare increspato, ecco come si apre il ritorno dei My Bloody Valentine a 22 anni di distanza da Loveless: She Found Now è come l’abbraccio al figliol prodigo.

Perché anche se magari non sembra, durante tutti gli anni ’90 e gli anni zero Kevin Shields e i suoi sodali  hanno vagato come alla deriva.

Tra demo mai finalizzati, tour assordanti, collaborazioni, interviste, all’apparente ricerca di un approdo, anzi dell’unico approdo possibile: un nuovo album di studio.

E m b v è qui, ora, come un relitto, come una cosa smarrita e ritrovata dopo mille ricerche a distanza siderale; a testimoniare che i My Bloody Valentine sono proprio come il loro suono. Impalpabili eppure pesantissimi, fuggevoli ma presenti, evanescenti eppure concreti. Certo, a loro modo.

Questo disco non è la rivoluzione, anzi spesso dà proprio l’idea di qualcosa di incompiuto, o se non altro di qualcosa iniziato tanto tempo fa e su cui ora è stato messo un punto fermo, un qui ed ora storico e quasi impensabile.

La magia vera sta in (moltissimi) dettagli: quel riff sonnolento e ripetuto all’infinito di Only Tomorrow; nella percussività stordente di Who Sees You; l’assalto punk/math rock di Nothing Is – che come un disco rotto non va assolutamente da nessuna parte; le chitarre martellanti e celestiali di In Another Way.

È come guardare un elefante stordito, che barcolla cercando di rialzarsi e invece viene risucchiato via in un tornado (Wonder 2).

Non è esercizio di retorica: m b v andrebbe suonato a degno volume, con le finestre spalancate, e avrebbe l’effetto di un attacco alieno. I My Bloody Valentine hanno un suono che nessuno sinora, nonostante gli innumerevoli tentativi, è riuscito a riprodurre. Semplicemente, la loro miscela di fragore celestiale è e sarà irripetibile. E forse in fondo è questo il senso di m b v: un lascito sì, ma soprattutto un monito.

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