In questo tempo trascorso, Jasmine White-Gluz è rimasta l’unica titolare del marchio e allora – per forza di cose – ha prevalso la voglia di non ripetersi, di crescere alcuni semi già piantati nell’ep Drool Sucker e nei successivi (tra cui quello in compagnia dell’ex Spacemen 3Sonic Boom) e creare una radicale cesura col passato (anche formalmente: via dalla Mexican Summer, la nuova casa del progetto è la Joyful Noise Recordings).
Lo shoegaze, le chitarre e relativi feedback, su Motherhood sono qualcosa di assolutamente eventuale; sono solo una goccia del mare, un altro elemento di texture complesse che vanno a poggiare anzitutto sul suono di sintetizzatori e su un vasto campionario di beat mutuato da hip hop, trip hop e IDM, a creare un orizzonte che non disdegna languori e sponde quasi ambient.
Il risultato è un gran mischione che riesce in un equilibrio apparentemente impossibile, e che sembra aver anche dato sfogo a spunti di songwriting intimissimo.
Motherhood, insomma, esplode con forza anche se con argomenti diversi dal passato, e No Joy (a questo punto è corretto parlarne al singolare) meriterebbe anzitutto un grosso plauso per il coraggio.
Oltre a questo, è un album bizzarro e curioso, che lascia molta voglia di capire cos’altro succederà.
Motherhood è il primo album firmato No Joy dai tempi di More Faithful (2015).
In questo tempo trascorso, Jasmine White-Gluz è rimasta l’unica titolare del marchio e allora – per forza di cose – ha prevalso la voglia di non ripetersi, di crescere alcuni semi già piantati nell’ep Drool Sucker e nei successivi (tra cui quello in compagnia dell’ex Spacemen 3 Sonic Boom) e creare una radicale cesura col passato (anche formalmente: via dalla Mexican Summer, la nuova casa del progetto è la Joyful Noise Recordings).
Lo shoegaze, le chitarre e relativi feedback, su Motherhood sono qualcosa di assolutamente eventuale; sono solo una goccia del mare, un altro elemento di texture complesse che vanno a poggiare anzitutto sul suono di sintetizzatori e su un vasto campionario di beat mutuato da hip hop, trip hop e IDM, a creare un orizzonte che non disdegna languori e sponde quasi ambient.
Il risultato è un gran mischione che riesce in un equilibrio apparentemente impossibile, e che sembra aver anche dato sfogo a spunti di songwriting intimissimo.
Motherhood, insomma, esplode con forza anche se con argomenti diversi dal passato, e No Joy (a questo punto è corretto parlarne al singolare) meriterebbe anzitutto un grosso plauso per il coraggio.
Oltre a questo, è un album bizzarro e curioso, che lascia molta voglia di capire cos’altro succederà.