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Paul McCartney – Kisses On The Bottom

paul_mccartney_kisses_on_the_bottom-300x300Arrivi a casa la sera, il cane ti corre incontro, i figli ti reclamano e ti si attaccano al collo, tua moglie ti stampa un bel bacio, poi torna ai fornelli. Ti togli le scarpe pesanti per non bagnare il tappeto del soggiorno, perché fuori nevica, e dentro invece tu hai trovato il camino acceso e scoppiettante. Ti slacci il doppiopetto e ti fai un bicchierino , per stemperare e riscaldarti.

Un abbozzo di altri tempi, quando la mattina si trovava il latte fresco fuori dalla porta insieme al giornale, i giocattoli erano fatti di legno… e forse la vita per certi versi era più semplice (certamente ingessata).

Kisses On The Bottom è un affresco che è quasi scioccante pensare opera di uno che quel pensare borghese e comodo ha in gran parte contribuito a sgretolarlo: (Sir) Paul McCartney.

Uno che rispetto ad ora riusciva ad essere più innovativo cantando della propria vita matrimoniale in ritiro con l’amata Linda, mentre tutti fuori si crogiolavano nell’edonismo.

A discolpa il fatto che dietro questo disco, il quindicesimo da solista del (fu) bel Paul, c’è proprio quell’idea di focolare domestico che il nostro ci teneva un sacco a ripescare, andando a smuffire brani che erano già vecchi quando i Beatles stavano ancora ad Amburgo. Le belle canzoni di una volta, le mosse di Fred Astaire e le pose di Dean Martin.

McCartney si affida anche alla produzione di Tommy LiPuma (classe 1936), uno che nel curriculum ha tre Grammy e ha prodotto Miles Davis, Natalie Cole e Barbara Streisand; e così Kisses On The Bottom è un’operazione nostalgia affascinante, a suo modo.

Chiama in causa Clapton (su My Valentine, un altro che non ha più guardato avanti dal 1967), Stevie Wonder (uno che ha sempre guardato avanti anche se cieco), e soprattutto un sacco di compositori jazz degli anni che furono, portandoli alla luce oggi che forse non gliene frega niente a nessuno (tipo Fats Waller: sua I’m Gonna Sit Right Down And Write Myself A Letter, che apre il disco).

Di suo McCartney ci mette l’interpretazione e la (grande) voce (e due/tre brani), il resto è pescato dal vecchio canzoniere tenerello degli anni ’50 e ogni tanto si sconfina in momenti alla How Much Is That Doggie In The Window.

Insomma, si può ragionare fino a farsi sanguinare il cervello sul perché o il per come (forse da ricercare nel titolo del suo ultimo disco, Memory Almost Full del 2007), fatto sta che Sir Paul vorrebbe far rivivere ai suoi ascoltatori gli anni che furono dei loro nonni.

La cosa riuscirebbe pure, se non fosse che arrivati a metà del disco è praticamente impossibile non sperare ardentemente che il bel quadretto del dopoguerra di cui sopra venga guastato da una sassata alla finestra tirata da quel discolo di Lennon.

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