Dischi

Radiohead – Amnesiac

Il caldo asfissiante dell’estate greca, nella metropoli e poi su lungo le coste del Golfo Pegaseo. La maturità alle spalle ed un futuro imminente che ci avrebbe colti a metà in un limbo languido di nostalgie ed attesa.

Da lì ci siamo mossi. Però l’incedere di Pyramid Song e You And Whose Army sono ancora il solleone che schiaccia i corpi sul cemento della città affannata. I Might Be Wrong è il panorama che rimbalza brullo dai finestrini del treno, il battito essenziale di Packt Like Sardines In A Crushd Tin Box, un risveglio inaspettato.

Se KID A è un l’album più decisivo di questo millennio, cos’è Amnesiac?

Certo, è il suo gemello distopico – nacque dalle stesse session, ma i Radiohead optarono per non pubblicare un doppio album. Due uscite separate ma ravvicinate (passarono appena 8 mesi tra uno e l’altro), a voler rimarcare il fatto che la contestualità genetica non implicasse necessariamente una continuità concettuale.

Forse il punto è proprio nascosto tra queste pieghe. Amnesiac vive di un coraggio diverso rispetto a KID A: non più quello di fare tabula rasa, ma quello di maneggiare un nuovo ordine e adattarsi ad esso. Insomma, il coraggio quello di venire a patti con gli esiti della rivoluzione nel tentativo di non perderne l’essenza.

È difficile rintracciare, in Amnesiac, gli oscuri presagi che animano il suo diretto predecessore; allo stesso modo, in Amnesiac, il torpore di KID A sembra svanire lasciando il posto ad un dinamismo eccentrico e talvolta raffinatissimo.

Anche nel successivo Hail To The Thief i Radiohead avrebbero cercato di diluire il suono di KID A nell’arrangiare brani (più che bozzetti sonori), ma il fatto è ci sono riusciti molto meglio proprio mentre quella sperimentazione sfrenata era in atto.

Tre soli sembrano i momenti in cui non ci riuscirono già allora, o proprio lasciarono perdere: uno è Hunting Bears, un breve bagliore per chitarra che in realtà è una specie di rielaborazione di Zawinul / Lava di Brian Eno (su Another Green World); il secondo è l’infinita retromarcia di Like Spinning Plates, basata su una embrionale versione di I Will (che apparirà su Hail To The Thief) e che avrebbero poi tradotto dal vivo nel modo spettacolare immortalato su I Might Be Wrong Live Recordings; il terzo è Pull Pulk Revolving Doors, una Fitter Happier da film horror – nel senso che la voce non è quella di una macchina, quanto piuttosto quella di un umano intrappolato in una macchina, il che porta tutto ad un livello di inquietudine ben superiore.

Per tutto il resto, Amnesiac si muove intrecciando coordinate e spostando di continuo il baricentro: Life In A Glasshouse prende lo spunto free jazz in coda a The National Anthem, lo riordina, lo ambienta nell’umidità polverosa di New OrleansPackt Like Sardines In A Crushd Tin Box forse è una beffa («after years of waiting… nothing came»), e con i suoi beat asciutti e profondissimi finisce per mostrare cosa sarebbero gli Autechre semmai intendessero (o, al tempo, avessero inteso) aggiungere linee vocali alle loro elucubrazioni soniche. Pyramid Song e You And Whose Army guardano indietro fino a Ok Computer, risolvendosi in variazioni minimalistiche del canone di Karma Police, amplificandone la portata spettrale ed esistenzialista. I Might Be Wrong è disco music aliena, Knives Out è la cosa più convenzionale di quegli anni, eppure è fragilissima. Morning Bell Amniesiac è un work in progress come suggerisce il titolo, la versione su KID A – in fondo – si fa preferire.

Amnesiac sta perfettamente in piedi da solo, questo è un punto fermo. E merita tanta deferenza quanto KID A, rispetto al quale esercita un fascino del tutto diverso e in qualche modo persino più profondo – per il suo tentare di rendere organica, assimilare e tradurre la frattura provocata dal suo precedessore. È un album enorme, ecco.

Ma a cercargli un contesto si ritorna necessariamente lì, a KID A. Perché questi due album insieme sono la catastrofe e la cura, la malattia ed il vaccino, l’anomalia e la normalità, il caos della rivoluzione e le sue nuove regole.