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The Good, The Bad & The Queen – The Good, The Bad & The Queen

the good the bad and the queenLondra in fiamme, un sole pallido e la città che brucia.

Londra il giorno dell’apocalisse.

È la fine, ma le anime risorte e tutti quanti sono intrappolati, affondano sulle sponde limacciose del vecchio Tamigi.

È questa l’immagine evocata da The Good, The Bad & The Queen (2007), nato come disco solista di Damon Albarn e invece, sotto l’egida di Danger Mouse, diventato il disco di un supergruppo formato da Albarn stesso, Tony Allen (i due si ritroveranno, qualche anno dopo, in Rocket Juice & The Moon), Simon Tong (ex Verve) e Paul Simonon (ex Clash – ma c’era bisogno di ricordarlo? – che peraltro proprio in quegli anni entrava a far parte nella live band dei Gorillaz).

È un disco cupo, quasi un concept su Londra, non su qualunque posto in cui tutto il mondo si trovi a convergere, ma proprio Londra. Rimane profondamente inglese, ma trasmette forte un senso di convivenza e assimilazione tra radici lontane. E non potrebbe essere altrimenti dati i protagonisti.

Parte con una melodia acustica e la voce melliflua di Albarn, e dopo 25″ arriva un basso che trasporta via giù a Brixton, con la gente giamaicana ai lati della strada, occhi fissi su un funerale che passa.

Continua così, verso nessun posto e tutti i posti. Verso com’era una volta magari, a passo di valzer (’80 Life), ma mai verso come sarà, perché The Good The Bad & The Queen affoga ogni speranza di redenzione:

drink all day ‘cos the country’s at war
you’ll be falling on the palace floor
I can’t be anymore than I see
in the flood get washed away

L’universo sonoro creato da Albarn, Allen, Tong e Simonon (e c’è sempre da tenere presente Danger Mouse alla produzione, perché è fondamentale), i riverberi, gli echi, i rumori anche, danno esattamente l’impressione di precarietà, di un mondo che da un momento all’altro potrebbe non esplodere ma implodere.

È cosa ben diversa: paranoia, forza autodistruttiva, uno scricchiolio sinistro che inghiotte ogni cosa. È la natura, come radici che crescono a coprire un posto maledetto.

Tutto questo, fino ad arrivare ai 7′ conclusivi della title track: con il suo ritmo da showtime, da titoli di coda, The Good, The Bad & The Queen fa sorgere un sospetto.

Si è forse trattato di un incubo?

No no, peggio: è tutta una farsa. È parodia, è un set di cartone, gli alberi che vanno a fuoco sono finti, la disperazione è recitata, la guerra non c’è affatto, e questi quattro hanno solo voluto farci credere che stiamo tutti affogando.

Hanno voluto mettere in scena l’istante dopo London’s drowning and I / live by the river, e questo viaggio è una presa in giro molto convincente.

.. then the sun came out of he clouds 
and charged up the satellites 
we all got our energy back and started talking again 
it’s the blessed routine 
for the good, the bad and the queen 
just moving out of dreams with no physical wounds at all 

Coup du theatre, nella migliore tradizione britannica cala il sipario e si va tutti al pub tranquilli, nessuna fine incombente… o forse no?

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