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The House Of Love – The House Of Love (Butterfly)

Le vendite di The House Of Love avevano iniziato a macinare numeri rilevanti soprattutto grazie alla pubblicazione del singolo Destroy The Heart: fu forse in quel momento che Guy Chadwick iniziò a sentire che la Creation non era abbastanza per le sue ambizioni.

Nel frattempo, nel dubbio, spesso e volentieri si aggregava alle scorribande di Alan McGee e soci in quel di Manchester (ma in realtà ovunque) alla scoperta dell’ecstasy e di certi nuovi suoni sintetici che riempivano le piste da ballo di pace e amore. Un periodo tanto eccitante quanto imbarazzante: ogni volta che Chadwick si calava quella roba, sentiva l’impellente ed irresistibile bisogno di denudarsi, a prescindere da dove si trovasse o con chi.

In ogni caso, la decisione fu presa e comunicata a McGee senza particolare tatto, ma con un risvolto mica male: ce ne andiamo, ma ti vogliamo come manager. E allora lui fece una cosa molto semplice e molto furba, perfettamente nel suo stile: organizzò un’asta. Affittò una suite in un albergo di lusso e condusse lì le trattative, prezzo base ottantamila sterline. Qualche settimana dopo chiuse a quattrocentomila più il costo delle registrazioni con la Fontana, una sussidiaria della Phonogram.

E fu allora che gli House Of Love persero completamente la testa.

Registrare quel primo album con la Fontana costò una cifra folle: quattrocento, cinquecentomila sterline. Nel momento stesso il cui Chadwick incassò l’anticipo si trasferì in una lussuosa casa a Camberwell, super accessoriata: mancava solo il maggiordomo. E cercò di assumerne uno! Non si trattò solo dei costi dello studio di registrazione, o il fatto che non si riuscisse a concludere nulla lì. Buttarono nel cesso diecimila sterline di taxi in pochi mesi, dio solo sa perché. Ad un certo punto pensammo che una seduta con Daniel Miller potesse fare più al caso loro ma a quel punto Terry Bickers perse completamente il controllo, spaccò il suo amplificatore, lanciò la chitarra contro il muro… un’altra session sprecata. Avevano cominciato a registrare all’inizio del 1989 ed era luglio ormai. Avanti così ci sarebbero voluti anni perché il disco portasse un qualche profitto, ammesso e non concesso che lo avessero finito. E in più sulla scena si stavano affacciando nuove grandi band. La migliore – sorpresa! – era di Manchester. A maggio l’album degli Stone Roses era nei negozi ed il loro pubblico era sempre più numeroso. Erano euforici, avevano il ritmo della house ma anche armonie e melodie “classiche”. Gli House Of Love rischiavano di essere presto dimenticati.

E così andarono le cose: gli House Of Love si incartarono a tal punto che il loro momento passò; Chadwick arrivò persino a licenziare Bickers, partendo in tour senza di lui.

Il risultato di quel periodo folle è The House Of Love, pubblicato nel 1990 e comunemente conosciuto come Butterfly, per distinguerlo dall’omonimo disco precedente: un capolavoro del tutto inutile alle aspirazioni di una band ormai dissolta.

Le versioni di Shine On, The Hedonist e Blind, già pubblicate dalla Creation e registrate da capo, splendono di rinnovato vigore; insieme alle nuove composizioni, disegnano un panorama in  cui le chitarre e la sezione ritmica muovono di continuo tra estasi e dinamismo. Quello che rimane degli House Of Love – e che li rende tutt’oggi rilevanti – è qui: la loro indole introversa ed esistenzialista, cacciata in armonie a presa rapida, disegnate e suonate con una irruenza sconosciuta. Gioielli come Hannah, The Beatles And The Stones, I Don’t Know Why I Love You, Never, 32nd Floor rappresentano un ultimo bagliore di un post punk ad altissimo tasso melodico prima dell’avvento dei suoni che avrebbero conquistato davvero il favore del pubblico nel corso del decennio.

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(il racconto di Alan McGee viene dal libro Creation Stories: Riots, Raves And Running A Label)