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The Smashing Pumpkins – Machina / The Machines Of God

Se non è sempre tutto oro quello che luccica, sarà pur vero anche il contrario – o no?

Machina / The Machines Of God – l’album che nel 2000 di fatto chiude l’avventura degli Smashing Pumpkins – generalmente non gode di gran considerazione, ma si tratta di un giudizio superficiale.

Ovviamente è carico di drammi, come del resto tutti i suoi predecessori.

Stavolta, in particolare, si tratta: (i) della scomparsa della madre di Billy Corgan; (ii) del ritorno di Jimmy Chamberlin, cacciato nel ’96 dopo aver trascinato in una spirale tossica Jonathan Melvoin, il tastierista che seguiva i Pumpkins dal vivo, morto di overdose in una nottataccia newyorkese nel luglio di quell’anno; (iii) della decisione di dedicarsi ad un ultimo disco ed un ultimo tour e poi sciogliere la banda, salvo licenziare D’arcy Wretzky un attimo prima di iniziare le registrazioni; (iv) dell’accoglienza non esattamente calorosa ricevuta dal precedente Adore e – quindi – dal desiderio (esplicito o inconscio poco importa) di tornare ad appagare la fanbase, fermo restando Flood in cabina di regia; (v) degli scazzi con la Virgin, che impose di accorciare quello che era stato concepito come un doppio album, di fatto mutilandolo e rendendone del tutto incomprensibile il concept dal quale originava.

Ma il risultato è migliore di Adore. A voler mettere in una classifica quei cinque album degli anni ’90 Machina / The Machines Of God rimane al penultimo posto, ma stiamo parlando di medie comunque assai alte (*).

Questo album ha un solo difetto evidente, quello di essere troppo lungo. Sottraendo qua e là sarebbe molto più agile e godibile. Sarebbe stato meglio chiudere con Wound, l’undicesima traccia, tralasciando tutto il resto. Invece a conti fatti è un tour de force.

L’altra questione che lo affligge ha a che fare con il suo suono, è soggettiva ma in termini generali abbastanza stupida: chi non apprezza la piega presa dai Pumpkins con Adore, dovrebbe in realtà apprezzare il ritorno ad un approccio più hard; chi invece apprezza quel punto di svolta, a ben vedere dovrebbe arrivare alla stessa conclusione perché Machina è un compromesso, che funziona molto bene, tra le origini della band e la sua evoluzione – a maggior ragione spostando l’attenzione sulla scrittura, qui molto più ispirata.

Try, Try, Try è un classico sulla scia di 1979, Perfect, Today – quel tipo di brano. The Everlasting GazeHeavy Metal Machine e Stand Inside Your Love tre pilastri heavy fatti di nervosismo e melodia – la stessa che anima I Of The MourningRaindrops & Showers, che però germogliano da un approccio più wave, collocabile da qualche parte tra i Cure di Disintegration e i primi New Order.

La scrittura di Corgan è ispirata, pulsante, vivida pur nel contesto di un’opera che – come detto – poco riflette le sue stesse premesse e si lascia trascinare dagli eventi.

Glass And The Ghost Children è ciò che più sopravvive all’idea originale: in qualche modo assai contorto, Zero (da Mellon Collie) si è trasformato in Glass ascoltando la voce di Dio alla radio. ‘Glass And The Ghost Children’ avrebbe dovuto essere una fictional band sulla scia di Ziggy Stardust & The Spiders From Mars.

Una sorta di saga assai incomprensibile se non si uniscono i puntini tra ciò che si trova nel booklet dell’album, quello che gli Smashing Pumpkins pubblicarono poi in autonomia (Machina II / The Friends & Enemies of Modern Music) e i post di ‘spiegazione’ che Corgan, all’epoca, affidò al sito internet del gruppo.

In qualche misura, per godere appieno di Machina / The Machines Of God, occorre dimenticarsi di tutto questo. Ed anche di tutto ciò che venne prima, accettare il fatto che le premesse dalle quali i Pumpkins avevano mosso i primi passi un decennio prima, a quel punto, erano del tutto svuotate di significato.

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(*) Per chiarezza: il primo posto se lo giocano Mellon Collie e Siamese Dream, segue Gish, poi Machina e Adore. Per ulteriore chiarezza: ogni cosa uscita a nome Smashing Pumpkins dopo Machina può essere tranquillamente ignorata – Earphoria a parte, s’intende.