Siamo al paradosso: rock’n’roll primordiale suonato (benissimo) da quattro psichelli più giovani degli One Direction.
O, pub-rock viscerale che esce da quattro tizi che al pub non potrebbero nemmeno mettere piede.
Questa è l’ultima new sensation d’oltremanica, gli Strypes – che intitolano il disco Snapshot a voler rimarcare l’intenzione di dare un’istantanea dei loro live anfetaminici.
Niente rielaborazioni tipo Arctic Monkeys, niente piagnistei post britpop, niente flirt con l’elettronica anni zero: dalla collezione di dischi vintage dei loro padri a prendere in mano la chitarra per suonare classici come You Can’t Judge A Book By The Cover o Rollin’ & Tumblin’ il passo è stato immediato, e così quello verso la composizione di brani che avessero quello spirito e quell’architettura (tipo le esplosive Mistery Man, I Can Tell, Blue Collar Jane).
Loro si dicono molto impreparati alle ragazze di città (Hometown Girls) ma per tutta la durata di Snapshot mostrano mani fredde e cuore caldo, continuamente oscillando tra un’atmosfera tipo Blues Breakers With Eric Clapton e pub di provincia elevandosi sopra risse alla Begbie.
Poche volte potrebbero essere confusi con la band di Alex Turner + armonica a bocca (sì, ancora in ‘Monkeys, ma ormai pare siano elevati a parametro per qualunque nuova band inglese), e in effetti quando succede non è gran cosa (Perfect Storm, What A Shame)
E inventiva nemmeno a parlarne (vedi il blues grasso di Angels Eyes), ma grande padronanza sì, perché questo disco nonostante la giovanissima età dei suoi creatori e il materiale (originale o meno, comunque) derivativo non suona affatto come una recita scolastica.
Ora come ora la forza degli Strypes sta nel loro suono potente, nel loro spingere in costante erezione (è pur sempre l’età dell’ormone impazzito no?) e nell’assurdità che riprendere pedissequamente roba di cinquanta e più anni fa sia la carta giusta da estrarre dal mazzo.
Con i tempi che corrono, però, Snapshot rischia di piacere più ai loro padri che ai loro coetanei.
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