Dischi

Verdena – America Latina

Giudicando sommariamente dal trailer, America Latina sembra animato da una pesantezza nervosa e distorta. Bisognerebbe guardarlo con una certa attenzione, ma sin d’ora lo stesso si può dire – con più cognizione di causa –  della musica composta ad hoc dai Verdena.

Sono passati sette anni dal loro ultimo album, un’eternità in cui abbiamo dovuto accontentarci di scampoli di Alberto (I Hate My Village, soprattutto) e Luca (Animatronic) o di iniziative come la riedizione celebrativa del ventennale del disco di debutto. Insomma l’attesa è tanta che saremmo stati qui con le orecchie incollate allo stereo anche se i Verdena avessero deciso di pubblicare settanta minuti di rumore bianco dal famoso pollaio.

America Latina, dunque, dà un po’ di respiro e spezza l’attesa del nuovo disco. Però è evidentissimo che va preso per quello che è: una colonna sonora, strumentale e molto umorale, che flirta pesantemente con la musique concrète e con l’ambient. Per fare un paragone ingombrante: il lato in studio di Ummagumma; per farne uno un po’ oscuro: In Another Room di Paul Weller. Ma è comunque più digeribile di Unfinished Music n° 1: Two Virgins di John e Yoko (e per certi versi anche di Endkadenz Vol. 2).

Insomma America Latina va approcciato senza la pretesa di trovarci dentro Requiem o Wow, o altro, e con la consapevolezza che si tratta di un magro palliativo. Nel suo fare soffuso, spettrale, ripetitivo e destrutturato, però, ha in comune con gli album dei Verdena l’approccio onnivoro al suono ed alla composizione. Il lato più strambo ed estremo, quindi, rende assolutamente riconoscibile il loro imprinting.

In più spalanca le porte ad un universo animato da una possibilità affascinante: quella che il trio sia all’inizio di un percorso parallelo nel campo delle colonne sonore (un po’ come i Mogwai). Per ora è ancora troppo poco, ma visto il risultato odierno – infine, teso e ottimo – mai dire mai.