Hightlight degli ultimi NME Awards: Noel Gallagher che riceve il premio di Godlike Genius. Un premio pop (un po’ cafone) alla carriera, quello, insomma, riservato a chi ha fatto cose straordinarie.
Sì sì, è una celebrazione, è autoindulgenza. È una festa, anche una farsa: niente da prendere troppo sul serio, come tutte queste cerimonie.
E infatti nel fulminante discorso di ringraziamento, Gallagher senior si prende gioco di tutti: dei colleghi («a tutte le persone in platea che mi hanno citato come una grande influenza: non c’è di che, cazzo»), del pubblico («grazie a tutte le persone lassù, per essersi prese il disturbo di comprare un cd o una maglietta – perché alla fine è il merchandising che conta«»), di NME stesso («grazie perché gliene frega ancora qualcosa di me dopo vent’anni»).
Noel chiude con quella che probabilmente è la sua canzone più grandiosa, pure più di Wonderwall, che si trasforma subito in singalong isterico: quattro minuti – ormai immortali – di liberazione collettiva.
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