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My Bloody Valentine – EP’s 1988-1991

my-bloody-valentine-eps-300x300Eccole, dopo (quelli che sono sembrati) un milione di anni, le ristampe dei dischi dei My Boody Valentine. C’è Isn’t Anything, c’è Loveless, e c’è questa doppia raccolta che mette insieme i leggendari (e tante volte introvabili) ep.

Al di là degli aspetti da audiofili, EP’s 1988-1991 è la vera perla di questo tsunami di pubblicazioni: You Made Me Realise  e Feed Me With Your Kiss (entrambi del 1988), Glider (1990), Tremolo (1991) per intero, più alcune chicche e tre inediti.

Gli ep dei MBV hanno la stessa rilevanza dei due dischi che li hanno resi leggenda (… sì, soprattutto quello la cui copertina è qui riecheggiata): ognuno di loro è un mattoncino nell’evoluzione di un suono che è – in una parola – eterno.

Ascoltare oggi i My Bloody Valentine non è diverso da allora: è ancora un’esperienza sconcertante. C’è qualcosa, nel loro rumore, che attrae come la luce attrae le falene.

Kevin Shilelds deve avere scoperto delle frequenze che non sono di questo mondo, che hanno l’effetto di una droga (esempio, la full lenght version di Glider non può forse essere riassunta così:  ?).

Questo doppio disco è molto più di un come eravamo, è piuttosto un come siamo arrivati qui; alla pubblicazione di queste ristampe, dopo anni di estenuanti lotte con la casa discografica (… altro che lentezza nel lavoro); ad essere una delle band più influenti di sempre… forse sarebbe bastato You Made Me Realise: la title track con la sua holocaust section dopo 1’40” (che negli ultimi concerti raggiungeva livelli di decibel da fare – letteralmente – sanguinare le orecchie) e i suoi successivi quattro brani che oscillano tra la narcolessia nervosa (Slow) e il pop sporchissimo (Drive It All Over Me).

Invece i MBV sono andati sempre avanti, alla ricerca di un suono che da rock’n’roll psicotico e rumorista si è spostato dentro, come un vulcano che erutta magma a stento (Emptiness Inside, da Feed Me With Your Kiss), fino a perfezionarsi – filosofico – alla ricerca perenne di un baricentro sconosciuto ai più (l’ep Glider, che anticipa Loveless).

Kevin Shileds ci è arrivato tagliando ed elaborando le frequenze, alterando la concezione stessa di suono (To Here Knows When: l’apogeo) e la percezione della melodia (Shallow, Moon Song).

Instrumental n. 1 e Instrumental n. 2 (in origine su un bonus disc allegato a Isn’t Anything), la prima martellante e quasi punk, la seconda lieve come la sabbia smossa dal vento, rappresentano lo yin e lo yang che di lì a poco Kevin Shields sarebbe riuscito a fondere in uno statement artistico in cui la violenza sonora e l’estasi statica si rincorressero senza contraddizioni.

I tre inediti che chiudono la raccolta sono brani rimasti nel cassetto durante tutti gli anni novanta e gli anni zero, e che forse – forse – portati oggi alla luce anticipano il lavoro che verrà sul leggendario nuovo album (roba che Chinese Democracy è de principianti), che sarebbe il primo dal 1991. Se ne straparla da vent’anni, il punto è che non ce ne sarebbe affatto bisogno.

In una manciata di registrazioni i My Bloody Valentine sono diventati eterni, e il loro mostrarsi nuovi oggi potrebbe non essere buono: l’asticella è così in alto che ci vorrebbe qualcosa di ancora più sconvolgente. E soprattutto inimmaginabile.

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