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No Joy – Ghost Blonde

Ghost-Blonde-1-300x300E’ stato un tweet di Bethany Cosentino quella sera dopo che i suoi Best Coast avevano diviso il palco con Jasmine White-Glutz e Laura Lloyd, ad accendere la miccia: No Joy are the best band ever!.

Enfatizzazioni a parte, da lì è stato un rapido susseguirsi di putiferio, e alla fine le No Joy sono approdate alla Mexican Summer, che nel 2010 ha dato alle stampe questo debutto (dai noi l’onda lunga è arrivata un po’ dopo).

Ghost Blonde è un’ulteriore conferma che la personalità può vincere sull’originalità. Non c’è nulla di davvero inedito qui. Semmai, la novità è che le redini del gioco più rumoroso del mondo (lo shoegaze) siano interamente nelle mani di due biondine, cazzutissime ma senza troppe pretese da riot grrl.

Anzi, questo disco in fondo è una grande rivendicazione caotica di femminilità, come se le No Joy fossero in qualche modo eredi delle Shangri La’s (e infatti, ecco l’anello di congiunzione!).

Ghost Blonde solleva un rumore impietoso e a tratti etereo, che si nutre di overdrive e delay ad ondate: a volte costanti come il mare calmo, altre volte la piena si ritira a rivelare il fondale e poi, dopo un poco di apparente quiete,  le bionde impattano violente come uno tsunami. A volte riescono a fare entrambe le cose insieme (Still va a tavoletta, ma la voce se se sbatte e rimane lì, a ballonzolare placida).

Il mix è opera di Sune Rose Wagner dei Raveonettes, e ne esce roba che tiene viva la nostalgia per i primi ’90, certo, ma che prosegue la migliore tradizione Creation con sbalorditiva agilità: non è facile dominare il rumore e creare ancora qualcosa di grandioso.

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