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The Who – A Quick One

a_quick_one_the_whoPur privo della carica adrenalinica del debutto My Generation, A Quick One rimane un passaggio importante – ed altrettanto curioso – nel percorso degli Who.

È l’unico album in cui il songwriting è diviso equamente tra tutti (e non solo frutto della penna di Townshend); una scelta in realtà non dettata da chissà quale spunto democratico: semplicemente il manager Chris Stamp era riuscito a negoziare un nuovo contratto di edizione in grado di assicurare un anticipo di 500 £ per ciascuno dei ragazzi a patto che collaborassero tutti alla scrittura del nuovo album. Un’occasione per fare cassa, insomma.

Si tratta della ragione principale per cui il fantastico artwork in stile pop art (firmato da Alan Aldridge) finisce per promettere più di quanto il disco poi mantenga; la sua disomogeneità ed il confronto spesso imbarazzante tra le composizioni di Townshend e quelle di Moon, Entwistle e Daltrey – la “strumentale” Cobwebs And Strage, (ovviamente) opera di Moon, è semplicemente una porcheria (o se nasconde dell’ironia la nasconde molto bene) – rendono A Quick One diversi gradini sotto altri competitor del ’66 (per rimanere in UK: Revolver, Aftermath, Face To Face).

Non mancano certo piacevolezze come l’iniziale Run, Run, Run (due accordi e un ritmo che i Velvet Underground porteranno verso orizzonti ben più marci) o il tributo alle radici soul (Love Is Like A) Heatwave (nella versione USA dell’album espunta in favore di Happy Jack, che ne divenne la title track: dall’altra parte dell’Atlantico erano troppo sensibili all’espressione sveltina), Boris The Spider (scritta da Entwistle, e che gli Who non smetteranno più di suonare) e So Sad About Us: sarebbe stata un singolo fantastico, non lo fu mai ma divenne il paradigma di moltissime canzoni dei Jam (che infatti pagarono rispettoso tributo inserendone una loro versione sul lato b di Down In The Tube Station At Midnight).

Ma soprattutto, A Quick One è l’album in cui Townshend rivela (la sua latente insofferenza verso il formato canzone classico e) la sua ambizione.

I nove minuti di A Quick One While He’s Away sono la prima mini opera rock, sei canzoni in una a raccontare la storia di questa ragazza scout lasciata sola dal proprio ragazzo – manca da oltre un anno e ormai doveva essere giù qui! – che dopo tanto piangere e disperarsi, imbeccata dai suoi concittadini, cede alle lusinghe del vecchio Ivor the engine driver; poi lui tornerà, lei confesserà («I missed you and I must admit / I kissed a few and once did sit / on Ivor the engine driver’s lap / and later with him, had a nap») e l’esito della vicenda è puro sollievo.

È questo il seme di Tommy Quadrophenia: rende ancora meglio l’idea ascoltare A Quick One While He’s Away (ad esempio) su Live At Leeds, dove ognuno degli Who interpreta un personaggio e l’idea di Townshend si scontra con i limiti imposti dall’esibizione uscendone vivida e vincitrice.

L’altra rivelazione è quella ben più profonda: è la primo spunto in cui Townshend racconta (decifra/trasponde) gli abusi subiti da bambino; Ivor è l’aggressore, il sollievo il grembo materno, la confessione il senso di colpa che se ne va.

Da qui in poi quel trauma avrà un peso sempre più grosso nella sua arte, (ma) verrà lavato via dalla pura bellezza delle sue composizioni, spesso inconsciamente.