Appunti Artwork

artwork: Revolver (1966)

«Ohi! Ma quello sono io seduto sul gabinetto..?!»
Forse questa cosa delle foto personali era andata troppo oltre.
D’altra parte, i Beatles avevano di nuovo chiesto l’intervento di Klaus Voormann e lui, di rimando, stavolta aveva chiesto aiuto a loro.

Ultimamente aveva escogitato un ottimo trucco per evitare che andassero in giro a promuovere Paperback Writer (non ne avevano assolutamente voglia): li aveva piazzati davanti ad una cinepresa, li aveva filmati e aveva mandato in giro le pellicole al posto loro.
In altre parole aveva inventato i video musicali.

Ma era comunque rimasto sorpreso dalla telefonata di Lennonhai mica qualche idea per la copertina del nostro nuovo album?»), a fronte della quale aveva semplicemente preso in mano dei pennarelli ed iniziato disegnare i volti dei Fab Four, andando a memoria aiutato dalle tecniche apprese durante la scuola d’arte.

Effettivamente non aveva mai smesso di frequentarli da quel giorno dell’ottobre del 1960 in cui – leggenda vuole – dopo un litigio con la sua ragazza di allora, Astrid Kirchherr, si era infilato al Kaiserkeller ed era rimasto fulminato dallo show di quel gruppo di coetanei inglesi scesi da Liverpool.

La storia aveva poi preso una piega strana e decisiva: Astrid si era perdutamente innamorata del loro bassista Stu Sutcliffe, aveva mollato Klaus ma entrambi avevano continuato a gravitare intorno ai Beatles ogni volta che questi approdavano in Germania (le testimonianze fotografiche di quel periodo si devono in gran parte alla Kirchherr); Voormann alla fine si era trasferito a Liverpool, formando i Paddy, Klaus & Gibson con Patrick John “Paddy” Chambers (chitarra) e Gibson Kemp (batteria) e avrebbe poi suonato (grazie anche alle dritte di Brian Epstein) con Hollies, Manfred Mann, Moody Blues e con i Bluesbreakers di John Mayall.

revolver_sketch_voormannE così si era trovato a creare una copertina per Revolver (1966), probabilmente senza conoscerne ancora il titolo e sicuramente avendone ascoltato solo un frammento (ma decisivo: Tomorrow Never Knows).

Superata la prima difficoltà – non riusciva a disegnare Harrison e finì quindi per ricalcare occhi e naso dalla foto su una rivista – l’idea era quella di riempire gli spazi tra una testa e l’altra con qualcosa: aveva chiesto quindi a John, Paul, George e Ringo un po’ di foto personali, scatti d’infanzia o momenti lontani dal clamore delle folle.

E ora se ne stavano tutti lì a fissare quel collage provvisoriamente appeso ad una cassettiera nell’ufficio di George Martin su alla EMI. E sì, c’era anche una foto di McCartney elegantemente seduto sul cesso, pantaloni calati e tutto.

«Dai, non puoi mettere una cosa del genere in copertina..!» disse Martin più divertito che infastidito, ma per il diretto interessato – Macca -, passato lo stupore iniziale, andava anche bene così: «no è ok, è divertente!».

In realtà poi la piccola foto incriminata fu rimossa dal collage definitivo; in compenso Voormann firmò il tutto disegnando anche il suo volto e il suo nome tra i capelli di Harrison, poco sotto la bocca di Lennon.

Soprattutto, furono tutti immediatamente entusiasti del lavoro del loro amico e anche Epstein, che per tutta la durata della presentazione (se può definirsi tale il tale bussare all’ufficio di George Martin e appiccicare un foglio A2 ad una cassettiera) se ne era stato in disparte con fare quasi contrariato.

Per il retro i Beatles scelsero di mantenere il bianco e nero, una foto scattata negli studi di Abbey Road in cui tutti indossavano occhiali scuri (tranne John, che però è quasi di profilo): una circostanza che a lungo alimentò la diceria che si trattasse solo di un espediente per coprire gli occhi pesti per l’effetto delle sostanze che ormai parevano assumere senza troppi problemi (in realtà è improbabile si sarebbe notato qualcosa, visto il black and white).

L’artwork creato per Revolver era destinato all’immortalità.
Non solo vanta una serie infinita di imitazioni e omaggi (se volete un esempio italiano c’è Mina Canta I Beatles; guardante anche, su queste pagine, Come Togheter: Black America Sings Lennon And McCartney), ma soprattutto Klaus Voormann riuscì – con apparente casualità – a rappresentare graficamente l’incontenibile espansione delle percezioni che i Fab Four avevano appena riversato su nastro.

E… che fine ha fatto quella prima versione del collage, con McCartney colto sul fatto?

«Ho sempre pensato l’avesse a casa George Martin, ma Paul mi ha detto che non è così – ha dichiarato qualche anno fa Voormann – poi mi sono informato e ora so che esiste ancora e so anche dov’è: non ce l’ho io ma so che è gelosamente conservata e ben tenuta. Sono contento così».

revolver_back_cover

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