Appunti Live albums

Altri 10 dischi dal vivo da riscoprire

Due o tre ere geologiche fa (era il 2014!) ci eravamo dilettati in una breve raccolta di 10 dischi dal vivo da riscoprire. Ora quell’articolo ha un sequel. Ci risentiamo nel 2030 per la terza parte (forse).

Albert KingLive Wire / Blues Power (1968)

Registrato al mitico Fillmore di San Francisco, questo album è una sorta di manuale di chitarra electric blues firmato Albert King. A voler scegliere un solo episodio, l’affilatissima e travolgente Night Stomp; ma le continue invenzioni su Watermelon Man di Herbie Hancock in apertura, il vocione poderoso su Please Love Me e lo shuffle infinito di Look Out rendono il tutto assolutamente irrinunciabile. La precisissima spontaneità di Albert King è qui al suo massimo.

Little FeatWaiting For Columbus (1978)

Band pazzesca, i Little Feat. Spesso dimenticati, ma guardando i seventies da qui il loro raffinatissimo rock’n’roll dalle tinte southern è una specie di antidoto a tante sfumature che arrivano ad essere più popolari – dalle quali però la banda di Lowell George non era immune. Una certa risolutezza li accomunava al glam, l’amore per raffinate fughe strumentali l’avevano in comune con il prog. E come ben testimonia Waiting For Columbus, sapevano mettere in piedi show di livello tecnico eccelso, allo stesso tempo sudatissimi ed animati da ben pochi formalismi.

David BowieLive Nassau Coliseum ’76 (2017)

Questo viene dal tour di Station To Station, durante il quale David Bowie è il Thin White Duke che porta sul palco neo-espressionismo, moralismi anni ’30, Salvador Dalí e Luis Buñuel. Con lui, Carlos Alomar alle chitarre, Tony Kaye (ex-Yes) alle tastiere e la sezione ritmica Dennis Davis / George Murray, cioè una line-up tanto dinamica e forward-thinking che quanto si tratta di tornare sul glam di appena pochi anni prima sembra trovarsi a dover adattare un qualche tipo di futuro agli schemi del passato. Il risultato è (godibilissimo, ma) assai straniante, perché mette in primo piano la raffinatezza piuttosto che il lato selvaggio di quelle composizioni. Il futuro in realtà è dietro l’angolo: chiuso quel tour, Bowie si darà una ripulita e si trasferirà a Berlino – il resto, come si dice, è storia.

Rage Against The MachineLive At The Grand Olympic Auditorium (2003)

La freddezza con cui questo album (dalla genesi tortuosa) fu accolto al momento della sua pubblicazione oggi sembra fuori luogo, o quantomeno molto mitigata dal fatto che da allora non s’è più sentito nulla del genere. Il disco documenta le ultime due performance dei RATM prima dello scioglimento del 2000, all’ormai dismesso Grand Olympic Auditorium di Los Angeles, e onestamente preme per uscire dalle casse in maniera inaudita – portando con sé molto idealismo, molta ribellione e, per la generazione che c’era anche allora, un inevitabile senso di sconfitta.

The BandThe Last Waltz (1978)

L’ultimo giro di ballo della Band andò in scena il giorno del ringraziamento del 1976 alla Winter Ballroom di San Francisco, con tanto di tavoloni apparecchiati e pasti serviti al pubblico prima dello show, Martin Scorsese dietro la cinepresa (con quel materiale avrebbe poi messo insieme uno dei più grandi documentari di sempre) e una pletora di ospiti ad alternarsi sul palco con Robbie Robertson e soci. The Last Waltz è la storia di una band – la Band – che si materializza, padroneggiando una serie notevole di stili diversi: che si tratti di accompagnare Eric Clapton e Muddy Waters in vividi smarrimenti electric blues (Mannish BoyFurther On Up The Road), quasi scomparire accanto a Dr. John (Such A Night) e più oltre solleticare l’ego di Van Morrison, o tornare agli inizi con Ronnie Hawkins (Who Do You Love?), magari andare verso territori apparentemente meno familiari (Coyote di/con Joni Mitchell) e poi tornare proprio a quelli che lo sono di più (la parte finale con l’amico Bob Dylan) – viene tutto maneggiato con incredibile scioltezza. Da non sottovalutare nemmeno i momenti in cui la Band è sola sul palco: l’apertura con Up On Cripple Creek è pirotecnica, per certi versi The Shape I’m In e Ophelia anticipano il revival r&b dei Blues Brothers. Un gruppo ben abituato a rimanere sullo sfondo, ma in realtà centralissimo.

KraftwerkMinimum-Maximum (2005)

Niente potrà mai sostituire l’esperienza di vedere i Kraftwerk sul palco, soprattutto nelle ultime esperienze 3D. Nel 2005, questo album comunque andò a tappare una falla gigantesca nella loro discografia, perché fino ad allora nulla (di ufficiale) li documentava live. Fu registrato durante il tour mondiale dell’anno precedente, intrapreso sull’onda di Tour De France Soundtrack – però pur pescando a piene mani da quell’album riesce a rappresentare perfettamente tutte le anime della band tedesca, dagli spunti più ambient (Planet Of Visions, Neon Lights) all’elettro-pop futurista (la saga Computer World, The Model, The Robots), dalle visioni pionieristiche dei tempi che furono (Trans-Europe Express, Autobahn) a quelle intrise di paranoia pesantissima (Metal On Metal, Radioactivity).

The JamLive Jam (1993)

Nel giro di cinque anni appena, i Jam passarono dal mettere insieme punk e mod-revival al confrontarsi con il r&b di stampo Motown, e questo live postumo lo racconta bene. È anche un prodotto più coerente di quanto si possa pensare, perché la maggior parte delle registrazioni qui viene da un singolo concerto, quello al Rainbow Theatre di Londra del 3 dicembre ’79, adattissimo a testimoniare quale furia li animasse nel loro primo biennio (scarso) di attività – quando era solo l’istinto a guidarli (piccola curiosità: la serata successiva, sempre lì, si trova per intero su The Jam At The BBC). In termini più generali, questo è un album che – pur se mai troppo celebrato – vale a dimostrare che i Jam nulla avevano da invidiare alla sacra trinità del punk (Sex Pistols / Clash / Ramones) quanto ad impatto e violenza.

U2Under A Blood Red Sky (1983)

Gli U2 erano una band clamorosa – per songwriting, personalità, presenza scenica e attitudine – ben prima di The Joshua Tree, di Achtung Baby, dei mega palchi. E forse non è un caso che questo, registrato durante il tour di War del 1983 e pubblicato sul finire dello stesso anno, rimanga ad oggi il loro unico album dal vivo nonostante tutto quanto successo dopo. Non è maestoso ed epico come ci si attenderebbe pensando a cosa poi ha reso Bono & co. definitivamente immortali, però ribadisce (e chiarisce, per chi non ne fosse avveduto) le loro affascinanti radici post-punk / wave e suona ancora freschissimo, adrenalinico e tagliente.

Primal ScreamLive In Japan (2003)

Qui si tratta dei Primal Scream di inizio millennio, quelli con alle spalle due album come XTRMNTR e Evil Heat, e in formazione Mani e Kevin Shields. La registrazione viene dallo Zepp di Tokyo e forse la reazione del pubblico Giapponese a un simile assalto sonico meriterebbe un documentario ad hoc. La forma è smagliante, e tutte le anime più assurde della band (quella lisergica, quella roots rock, quella house) convergono in una sola, guastatrice. Una prova su tutte? Kowalski.

Galaxie 500Copenhagen (1997)

Il peculiare approccio dei Galaxie 500 alla vita non poteva che trovare sfogo in un live zeppo di voci pigre, assoli che sembrano svogliati e improvvisati (invero minimali, dritti al punto e molto efficaci) e dialoghi quasi surreali col pubblico. Serve qualche ascolto, ma poi il senso della loro vivida ripetitività, del loro continuo ballonzolare placidi tra ritmi sghembi, arriva chiarissimo.

Se siete arrivati fin qui, sappiate che – negli anni – su queste pagine ci siamo spesso trovati a raccontare di diversi album dal vivo che ci piacciono particolarmente: li trovate tutti qui.