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Blink-182 – Enema Of The State

I Blink-182 di Enema Of The State sono da annoverare tra le cose improvvisamente successe nel nostro orizzonte di adolescenti di fine millennio e troppo grandi per essere ignorate.

Come i Prodigy di The Fat Of The Land, i Verve di Urban HymnsFatboy Slim con You’ve Come A Long Way, Baby, Californication dei Red Hot Chili PeppersMoby con Play, per dire.

Ma a differenza di quest’altra roba ad altissima rotazione su MTV – e di altra che a confronto era dura e pura tipo NOFX o Pennywise – loro sembravano molto più vicini: niente travestimenti o esistenzialismi ostentati, niente spasmi cervellotici o storiacce di gente riacchiappata per i capelli dall’aldilà; parevano più semplici, dei grandissimi cazzari, gente un po’ più adulta persa in una notevole sindrome di Peter Pan.

E poi quello era proprio era il nostro momento, dato che eravamo arrivati troppo tardi per cogliere la massima esposizione di Nirvana e Green Day.

Non che potessimo riconoscerci in loro – capivamo bene che il loro vissuto da collegiali californiani era distante anni luce dal nostro – ma i Blink-182 erano divertenti, erano una festa: avevano messo una pornostar ammiccante sulla copertina del disco, correvano nudi per strada, scimmiottavano i Backstreet Boys tanto adorati dalle nostre coetanee, parlavano di stronzate tipo cacca e alieni e perculavano la loro stessa immaturità, tutto ai mille all’ora coperti di tatuaggi e piercing.

Ma più difficile era grattare la superficie e scoprire che erano molto altro, dato che venivano spacciati come un’esperienza irriverente e innocentemente ribelle.

E forse è ancora improbabile arrivarci se si approccia questo album solo per i singoli spaccaclassifica, ma la prima scoperta potrebbe essere proprio che è un all killer no filler.

La seconda è che bisognerebbe pensare ad Enema Of The State non come un’opera scanzonata e monodimensionale, ma come il parto di qualcuno che aveva preferito comportarsi da demente piuttosto che lasciarsi sopraffare dai propri drammi post-adolescenziali (magari) fino a piantarsi una pallottola in testa come il protagonista di Adam’s Song.

Non è solo quella (che peraltro meriterebbe un posto non distante dai Joy Division nella particolare scala della disperazione umana – se pensate che sia un’esagerazione leggete la lettera che Adam inviò alla band prima di farla finita): in What’s My Age Again è il disturbo da iperattività (ADD) che porta Mark ad accendere la tv mentre la sua estemporanea conquista gli sta già abbassando i pantaloni; in Dumpweed Tom canta di volere una ragazza «da ammaestrare come un cane», frustrato dall’incapacità di relazionarsi con l’altro sesso; col tempo, per lui gli UFO di Alien Exist sarebbero diventati molto più che uno strano hobby;  Going Away To College è lo scompenso trans-generazionale di dover abbandonare la casa e la ragazza del liceo per andare all’università e – una volta lì – rendersi conto che quella specie di libertà sfrenata e non desiderata comunque non ha granché senso, quindi perché mai approfittarne (The Party Song)?

Il successo clamoroso di Enema Of The State proseguì, poi si affievolì con i successivi album; la storia racconta che il 1999 dei Blink-182 fu il loro momento migliore per un sacco di cose, non da ultima per trasformarsi definitivamente da perdenti cronici in una band che smuoveva folle immense.

Ora è un po’ triste vederli rifare What’s My Age Again inseguendo le mode con Lil Wayne, ma non sarebbero arrivati fino ad oggi se allora fossero stati davvero solo dei cazzari.