Dischi

Lana Del Rey – Born To Die

lana-del-rey-born-to-die-300x300Ricapitolando: Elizabeth Grant ci aveva già provato nel 2010 con Lana Del Ray A.K.A. Lizzy Grant, finito nel nulla.

Poi, ribattezzatasi Lana Del Rey qualcosa succede: un sacco di occhi puntati addosso: Vogue, il Guardian che la descrive come una “Nancy Sinatra gangsta“, la controversa e recentissima e stonatissima performance al Saturday Night Live, un pugno di singoli accolti come manna dal cielo.

E una pioggia di speculazioni: per alcuni costruita a tavolino, per altri una bel visino e basta, per altri ancora la nuova frontiera dell’indie – un indie che orgogliosamente entra a gamba tesa nel mainstream, con glamour, storiacce di perdizione varia da sbandierare orgogliosamente, con una che pare la ragazza della scuola cattolica accanto.

A dire il vero, ad ascoltare Born To Die – l’attesissimo debutto della “nuova” Grant  – l’idea di trovarsi di fronte ad un sacco di fuffa trova ampie conferme.

C’è dentro di tutto: accenni hip hop, elettronica più o meno cheap, quella voce che vorrebbe essere Nancy Sinatra, orchestrazioni come piovesse, pop sinfonico. Storie maledette, quanto possono essere quelle di una venticinquenne perennemente in bilico tra il personaggio della ragazza della porta accanto e quello della Lolita tentatrice.

Lana Del Rey riesce ad andare avanti un’ora intera insitllando nell’ascoltatore la voglia che prima o poi succeda qualcosa di vagamente eccitante o davvero notevole. Che in questo disco, insomma, ci sia uno spunto  anche vagamente paragonabile a Wounded Rhymes, magari. Niente, invece non succede nulla. Pochezza e arrancamenti. Finto esistenzialismo. Roba che in confronto Born To Die, Blue Jeans e Video Games sembrano singoli eccezionali.

C’è o ci fa? La domanda resta. Intanto, Born To Die è patinato e stucchevole come le pubblicità del profumo.  Inutile.

1 comment on “Lana Del Rey – Born To Die

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *