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Noel Gallagher – Any Road Will Get Us There (If We Don’t Know Where We’re Going)

Ad un certo punto, Sharon Latham indica una foto in bianco e nero: «questa – dice – questa è la mia preferita tra tutte».

Noel Gallagher, ignaro dell’obiettivo puntato verso di lui, è in piedi in un bagno piastrellato di bianco, carta igienica ben in vista, chitarra al collo, si sta scaldando la voce. «In Texas c’era solo un camerino, tanto che lui è dovuto tornare sul bus per cambiarsi prima di salire sul palco. E di solito cerca sempre una stanza un po’ nascosta per scaldarsi e preparare la voce, ma non c’era nulla del genere quindi è finito per rifugiarsi in bagno. Allora ho pensato “siamo in questo posto del cazzo, in Texas, e comunque la sua prima preoccupazione è che il pubblico abbia la migliore performance possibile”. È per questo che adoro questo scatto. E adoro questi momenti rubati».

Stop. Ora facciamo un bel passo indietro.

Any Road Will Get Us There (If We Don’t Know Where We’re Going) – il libro fotografico che racconta il tour mondiale a supporto di Who Built The Moon? – è molte cose.

È la testimonianza di un cambiamento: Noel Gallagher non è mai stato timido, ma all’inizio della sua avventura solista non era un frontman; cinque anni dopo è perfettamente a suo agio al centro della scena. Mostra la chimica degli High Flying Birds, uno spettacolo notevole su e giù dal palco: affiatati, divertiti, divertenti, efficaci. È uno sguardo dietro le quinte di uno show che si è mosso innumerevoli arene, teatri, locali e festival in giro per il globo; è uno sguardo rivolto dal palco verso le folle che hanno ballato, sudato e cantato accompagnando Gallagher Sr. nella sua ultima avventura.

Difficile raccontare tutto in poche righe. E se ogni tanto scrivere di musica (che già di per sé è «come ballare di architettura») ci sembra complicato, figuriamoci scrivere di fotografia.

Allora abbiamo deciso di andare alla fonte e ci siamo rivolti direttamente a chi queste foto le ha scattate, Sharon Latham.

Lei per anni ha puntato l’obiettivo soprattutto verso il campo da calcio (nello specifico quello del Manchester City, squadra per la quale ha lavorato a tempo pieno dalla stagione 2008/09 al 2015/16), poi ha finito per seguire Noel Gallagher durante tutto il tour mondiale del 2018. Ma non era pianificato. «L’organizzazione di Noel mi aveva semplicemente detto “vieni, scatta, pubblicheremo le foto sui social, serviranno per le PR e tutto il resto”. Dopo le prime due settimane e visto il successo che stava avendo il materiale che pubblicavamo sui social avevano cambiato idea “beh, perché non resti per il resto del tour qui in America? Sarebbe stupido lasciarti andare!”. E così sono rimasta per il resto del tour degli States, altre tre o quattro settimane».

Di lì a poco la decisione di non tornare a casa fino alla fine del viaggio: «dopo ogni concerto Noel voleva vedere gli scatti. Ogni cosa doveva avere la sua approvazione prima di uscire sui social, sceglieva lui di persona tra tipo centocinquanta scatti ogni sera. A metà del tour in America, una sera eravamo lì a vedere le foto e gli ho detto “queste immagini sono fantastiche, guarda come sembri felice!”. A quel punto lui fa: “ma io SONO felice Shaz! E sì, queste foto sono grandiose”. Gli ho detto che ne avevo molte altre e che avremmo dovuto raccoglierle in un libro. E così mi ha detto “fanne un libro, fai vedere a tutti quanto cazzo è divertente essere in tour, fai vedere quanto è figo. Inizia a fare più foto, non tralasciare niente”».

E così Sharon si è trovata a bordo del carrozzone per i mesi successivi: dagli Stati Uniti all’Europa, poi i festival estivi, infine l’estremo oriente. «Avevo già seguito Noel nel 2016, ma solo in Inghilterra, quindi andavo avanti e indietro dai concerti. Questa è stata un’esperienza diversa, si è trattato di dormire/bere/mangiare/viaggiare con gli High Flying Birds sempre e ovunque. Ed è stata una cosa meravigliosa».

Questa è la ragione che rende particolare Any Road Will Get Us There, perché è uno sguardo dall’intero su quel mondo lì. «Conoscevo già Noel e mi ero sempre trovata bene a lavorare con lui e con gli altri della band che sono con lui da più tempo, Mikey, Chris, Russ [n.d.r. rispettivamente: Mike Rowe, tastiere; Chris Sharrock, batteria; Russel Pritchard, basso]. Ma stavolta c’erano anche Gem e le ragazze [n.d.r.: Charlotte Marionneau, Jessica Greenfield, Ysée] e con loro non avevo mai lavorato. In più, stare con tutta la band e con lo staff è stato come essere parte della famiglia. Non avevo mai lavorato così da vicino con qualcuno. E loro sono molto, molto in sintonia gli uni con gli altri: penso che questo si veda chiaramente dalle foto. Poi sai, a forza di essere lì sempre – il soundcheck, il concerto, dopo il concerto – ad un certo punto si aspettavano che effettivamente ci fossi. Se non mi vedevano era strano: “ehi, dov’è Shaz!?”».

 

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#nfhfb chilling back stage at #tramlines #Sheffield 👍🏻😁

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Molte delle immagini finite nel libro sarebbero state impossibili da catturare senza questo grado di confidenza. Se c’è qualcosa sulla quale Sharon ha sempre potuto contare, dice, è la sua capacita di far sentire a proprio agio le persone in pochissimo tempo. E in un lavoro come il suo – che si tratti di fotografare calciatori, rockstar o perfetti sconosciuti – queste people skills sono essenziali. Sia perché la tempistica spesso è determinante sia perché le persone effettivamente rendono a seconda del grado di confidenza che hanno con chi si trova dietro l’obiettivo.

La capacità di avere a che fare con le persone, ma anche la discrezione e l’attenzione ai dettagli. «Ho sempre molto riguardo di come gli artisti si preparano a salire sul palco, so che non devo stargli addosso. Mi metto in un angolo della stanza, distante, uso le mie lenti per riuscire a catturarli come fossi più vicina. E i soundcheck sono pazzeschi per scattare. La band è più rilassata, magari provano qualcosa di nuovo, provano a fare qualcosa in modo diverso o ne esce una jam, ed è sempre meraviglioso fotografare momenti del genere. Pensavo sempre: cosa vorrei vedere se fossi un fan? Vorrei sapere cosa fa la band, se sono felici, come si preparano. Quella per me è stata la priorità. Quindi guardavo sempre anche quello che succedeva intorno al palco, c’erano sempre momenti interessanti: qualcuno che aggiustava una chitarra, qualcuno che sposta qualcosa… insomma, alla fine mi sono ritrovata con un archivio di tipo ventiduemila foto!».

Il pubblico che poi avrebbe sfogliato il libro, ma anzitutto il pubblico dei concerti. Quest’ultimo è una presenza ricorrente negli scatti di Sharon: sono spesso immagini vivide, un casino coloratissimo ovunque – dalla folla di Austin a quella del teatro sotterraneo di Praga, passando per quella del Fabrique di Milano, attraverso l’enorme distesa notturna del festival di Greenwich fino all’apparente compostezza del Giappone. «Sono stata fortunata a trovarmi sempre un angolino dietro a Chris, dietro alla batteria. Alla fine del concerto da lì si vede tutta quella gente.. è epico, non so come altro spiegarlo. E non riesco ad immaginarmi cosa dev’essere per Noel stare sul palco davanti a così tante persone che cantano le sue canzoni. Deve essere incredibile. E volevo riuscire a catturare questa cosa quindi mi mettevo dietro a Chris, aspettavo che si alzasse per poter inquadrare la folla, i volti delle persone».

A questo punto torniamo da dove siamo partiti: in queste foto Noel sembra perfettamente a suo agio e soprattutto sembra si sia divertito come un matto. Sembra addirittura fuori dal suo personaggio. Sharon conferma. «Durante tutto il tour i ragazzi erano felici, scherzavano, dei professionisti impeccabili. Anche tutti i tecnici, un’esperienza meravigliosa. E sì, Noel è ancora assolutamente entusiasta di quello che fa, adora andare in tour. Ne è innamorato». Ed ecco il suo adattarsi alle situazioni, il fatto di non risparmiarsi, di voler essere sempre al 100% a prescindere, senza troppi fronzoli.

Sharon ci ha svelato anche quale è la foto preferita di Noel, tra tutte: quella che sembra ambientata allo Studio 54 (trovatela voi; ci ha confessato che non è stato esattamente uno scherzo scattare con tutto quel laser show (però «la silhouette di Noel è sempre inconfondibile anche al buio. È la prova che è una vera icona») ed ha confermato l’impressione che abbiamo sempre avuto su Gem Archer: «è un ragazzo meraviglioso. Super intelligente. Un chitarrista fantastico, sono sicura che potrebbe suonare la maggior parte di quelle canzoni ad occhi chiusi; però, anche lui, ci mette il 150% ogni sera. È un professionista vero. Ed ha un senso dell’ironia spietato, è super divertente. Capisce al volo Noel, Noel capisce al volo lui, la loro relazione funziona a meraviglia».

Soprattutto, Any Road Will Get Us There (If We Don’t Know Where We’re Going) è stata la scusa perfetta per conoscere Sharon Latham e chiacchierare con lei di moltissime cose: della sua esperienza di fotografa, del suo lavoro nel mondo del calcio ed in quello della musica, della sua App (Selfie Guide). Quindi come si dice in questi casi: to be continued…

Per ora: trovate Sharon Latham su Instagram (@selfieguideshaz / @selfieguideto), Any Road Will Get Us There (If We Don’t Know Where We’re Going) è edito da Blink Publishing e sta agilmente su Amazon.