Appunti

Una serata con Badly Drawn Boy

Riuscire a fotografare la statua dei Fab Four che sta sul waterfront di Liverpool senza che nessuno s’intrometta nell’inquadratura è una specie di miracolo. Ma è domenica, tardo pomeriggio, non c’è quasi anima viva in giro e almeno per questa sera John, George, Paul e Ringo se ne stanno indisturbati a contemplare il Mersey nel punto esatto in cui diventa mare.

Uno degli imponenti edifici alle loro spalle ospita da pochi anni la British Music Experience, il museo della pop music inglese: molto interattivo, molto friendly e certamente molto nel posto giusto.

È una delle location scelte per il Doc’n’Roll Film Festival, annuale rassegna itinerante di film e documentari musicali con un cartellone da perderci la testa, tipico di un Paese nel quale la musica è lontana dall’essere ridotta ad intrattenimento. Siamo qui per la prima di About A Badly Drawn Boy: The Story Of The Hour Of Bewilderbeast, 95′ incentrati su Damon Gough – alias Badly Drawn Boy – e sulla creazione del suo album di debutto The Hour Of Bewilderbeast.

Era il 2000, quel disco a sorpresa vinse il Mercury Prize e sulla cresta dell’onda lui creò la famosissima colonna sonora di About A Boy; seguirono lavori non altrettanto apprezzati e l’ultimo album vero e proprio, datato 2010, nonostante il titolo (It’s What I’m Thinking Pt.1 – Photographing Snowflakes) non ha mai avuto seguito; dopo un altro lavoro di stampo cinematografico (Being Flynn, pellicola mai sbarcata da questa parte dell’Oceano nonostante Robert De Niro e Julianne Moore) ed una serie di concerti finiti malissimo, Damon Gough sparì dalla circolazione. Quattro anni fa si è rifatto vivo per celebrare il quindicesimo anniversario di The Hour Of Bewilderbeast, ma da allora – a parte qualche live – tutto tace.

Ed è proprio mentre siamo assorti nel più classico dei chissà che sta combinando, Badly Drawn Boy si manifesta lì, sulla scalinata del museo.

Brandisce pingue una sigaretta elettronica, sorride da dietro la barba ormai più che brizzolata; si ferma volentieri a fare due chiacchiere ed una foto e il berretto pare non esserselo tolto da allora, solo adesso nasconde una notevole chioma bianca. Lui, il suo microscopico entourage, noi: sembra che siamo gli unici stronzi in tutta Liverpool a starsene fuori a farsi prendere a schiaffi dal vento.

Un paio di ore dopo, possiamo concludere che About A Badly Drawn Boy è della stessa sostanza di The Hour Of Bewilderbeast.

Quell’album è una sorta di mixtape fatto di brani dalla produzione scintillante ed altri quasi solo abbozzati, tenuto insieme da inserti sonori, divagazioni da cameretta e quant’altro possa essere ricondotto ad una precisa estetica do it yourself. Allo stesso modo questo documentario vive di un’estetica rabberciata, di interviste in HD ed altre via webcam, di filmati saltati fuori dagli archivi di famiglia o chissà dove, altri da trasmissioni televisive, immagini di repertorio.

Ma ha un filo conduttore ben preciso, soddisfa la curiosità di chiunque si sia mai chiesto come sia nato The Hour Of Bewilderbeast in quelle coordinate spazio/temporali e per tutti gli altri, comunque, racconta una storia abbastanza incredibile ambientata in un tempo in cui tante cose sembravano poter avere uno scopo importante (certo, per i profani 95′ del genere potrebbero non essere facilissimi da affrontare).

Racconta anche, sottotraccia, la storia della Twisted Nerve – più che una vera e propria etichetta discografica, un collettivo che ruotava attorno ad Andy Votel e Damon Gough stesso ed alla loro amicizia.

Oltre il regista, presenti in sala anche alcuni altri protagonisti della narrazione, su tutti proprio Andy Votel – oggi, con la sua  Finders Keepers Records si occupa soprattutto di ripubblicare dischi assai oscuri – e Ken Nelson, co-produttore di The Hour Of Bewilderbeast (e uomo dietro la consolle in album come Parachutes, A Rush Of Blood To The Head e X&Y dei Coldplay, tra gli altri): sembra quasi una reunion.

La proiezione è un viaggio attraverso la realtà in cui Badly Drawn Boy ed i suoi accoliti hanno vissuto alla fine degli anni ’90 e nella prima alba di questo millennio; nel question time, improvvisamente, tutta la distanza da ora ad allora si materializza: Damon Gough ammette di essere alla ricerca di una scintilla creativa ormai da anni; nulla che lo riporti prepotente a quei fasti (impossibile per molte ragioni), ma qualcosa che gli permetta quantomeno di vincere l’insicurezza che lo oscura da molto tempo.

Ecco spiegato il silenzio creativo, il volare basso e volontà di celebrare The Hour Of Bewilderbeast come momento per ripresentarsi al pubblico. Se c’è qualcosa che ci portiamo via da questa serata è l’immagine di un Badly Drawn Boy gioviale ma smarrito, che pare ancora dover fare i conti con una carriera arenatasi sugli scarsi numeri delle sue ultime uscite, con le attuali logiche dell’industria musicale (che lo ignora), con una vita coniugale andata a rotoli e con un pubblico meno spensierato e sempre più esiguo.

E che per quanto prometta che entro la fine dell’anno avremo sue notizie, pare quasi essere il primo a non crederci fino in fondo.

Usciamo, e nonostante l’orario le strade del centro di Liverpool sono più animate di quando siamo arrivati: i tifosi usciti da Alfield scorrazzano in giro festosi, i pub sono pieni e i posti in cui è ancora possibile mangiare un boccone sono presi d’assalto.

Nel ricordarci come stavamo vent’anni fa, About A Badly Drawn Boy: The Story Of The Hour Of Bewilderbeast avrebbe dovuto metterci addosso una legittima malinconia; c’è e non è facile ignorarla, ma più che dal pensiero del passato è data dall’aver constatato un presente brutalmente onesto al quale non eravamo preparati.