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Radiohead – The King Of Limbs

Radiohead-The-King-of-Limbs-300x300Ricordo ancora una recensione di Kid A, la conservo da qualche parte. È di quando di musica si leggeva soprattutto sulle riviste. Diceva, sostanzialmente, che da quel momento in poi (a.d. 2000) seguire i Radiohead sarebbe stata una questione di fede. Io sentivo di non averne granché, per quanto fossi arrivato ad adorare Ok Computer. Ma poi comprai effettivamente Kid A e mi ci persi fino ad innamorarmene, un giorno che giravo in città con la bici.

E dove siamo arrivati, con questa fede? Ad avere nell’hard disk (nemmeno si può più dire avere in mano – almeno fino alla fine del prossimo mese) The King Of Limbs. E ad avere anche qualche altro disco per capire da dove sbucano fuori certi suoni.

C’è da dire, quindi, che probabilmente molti che storceranno il naso ci troveranno dentro un sacco di difetti ma soprattutto uno: il fatto che il suono creato dai Radiohead questa volta non sorprende molto. Rientra, insomma, tra il ventaglio di possibilità cui si pensava dopo In Rainbows. E, a forza di spiluccare blog, sentire elettronica da camera o elettronica norvegese, frullati jazz d’avanguardia e quella cosa chiamata chillwave, più o meno tutti sappiamo da dove Thom Yorke e i suoi potrebbero aver trovato ispirazione.

In ogni caso i Radiohead sono riusciti ad inventarsi un’altra capriola proprio quando – dopo averci detto, nel 2007, di pagare se/quanto avessimo ritenuto opportuno – pensavamo fosse una mossa impossibile. Tenere segreta l’uscita del disco fino a cinque giorni prima. Ed annunciare con candore: a proposito, sabato esce il nuostro nuovo album. E poi, arrivato il venerdì: eccolo, ci eravamo scocciati di aspettare fino a domani. Questa volta si paga, sono otto tracce, a seconda del formato digitale o di cosa volete farvi recapitare a casa (un newspaperalbum, qualunque cosa sia). Poi tempo due minuti e l’album ce l’abbiamo tutti. Ma proprio tutti, anche quelli che poi lo cestineranno con un click.

Ma altro che al primo ascolto. Qui ne servono parecchi, se non altro per smetterla di pensare che sia il nuovo disco solista di Thom Yorke, dato che la il resto della band non si sente. Al primo ascolto, almeno. Ma forse solo perché la costante dei Radiohead, in tutti i loro mutamenti, è sempre stata la sua voce. E quindi?

Pare inevitabile il paragone con Kid A, nel senso che anche stavolta i Radiohead hanno premuto un bel tasto reset, hanno – all’apparenza – rimesso da parte gli strumenti tradizionali e tirato fuori i laptop. Sembra In Rainbows suonato al contrario, sembra comunque tanto organico e quasi inscalfibile. Nel senso: si sente forte un intento, un mood di fondo ben preciso, foss’anche quello dei mostri in copertina, a tratti disturbante.

Non sorprende che Flying Lotus e Four Tet abbiano immediatamente dichiarato il loro amore entusiasta per The King Of Limbs: è una via personalissima a quell’avanguardia sperimentale di cui i due fanno parte. Nasconde i sussulti dubstep dietro la voce di Thom Yorke, distillandola in otto tracce che posano violentemente e freneticamente sulle architetture create da basso e batteria (trattatissimi).

Ascolto dopo ascolto, The King Of Limbs è claustrofobicamente melodico. Niente a che vedere con la melodia di In Rainbows, che a confronto sembra smaccatamente pop, è tutto più mediato e nascosto. Ma Lotus Flower e Little By Little s’inchiodano in testa, Separator potrebbe essere una melodia epica, invece è brutalmente minimale, Give Up The Ghost, con tanto di uccellini in sottofondo, sembra la naturale prosecuzione di Faust Arp. È tutto ridotto ai minimi termini e mescolato in meno di 40 minuti.

Ad un certo punto nell’ascolto emergono anche gli strumenti. Morning Mr. Magpie vive di un basso che sembra un contrabbasso e di microscopici inserti di chitarra sul canale destro, il tessuto ritmico di Feral (in cui la voce di Yorke viene compressa, spezzettata, sparsa nei canali e affiora come un fantasma) si spinge sino all’avanguardia jazz, senza contare che Codex sembrerebbe – se lavata via di tutto – una di quelle classiche ballate pianistiche che infarcivano i dischi precedeti.

The King Of Limbs forse non è l’ennesima rivoluzione, ma suona come un bell’atto di fiducia (nel pubblico, nell’arte, nella creatività, nel giocare a nascondino), e lancia una grande sfida al grado zero della bellezza.

2 comments on “Radiohead – The King Of Limbs

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