Dischi

Spoon – Lucifer On The Sofa

Gli Spoon sono la miglior rock’n’roll band americana degli ultimi vent’anni (e passa).

A ben vedere, senza fatica, si potrebbe anche togliere ogni riferimento geografico e parlare in termini assoluti.

Lucifer On The Sofa ne è l’ennesima conferma.

Arriva a ben cinque anni dal precedente Hot Thoughts e dopo un best of (Everything Hits At Once), ma spazza via in un attimo il sospetto che la vena di Britt Daniel e compari si sia esaurita.

La discografia degli Spoon è come la famosa scatola di cioccolatini di Forrest Gump: non sai mai che ti capita. Ci si era lasciati con un album dai toni dinamici e sintetici, spaziali, per certi versi quasi allucinati. Dal canto suo, Lucifer On The Sofa è un ritorno alle radici, non tanto degli Spoon stessi (che in termini generali poggiano tanto nel post-punk quanto nel pop anni ’60), pur se pare si tratti della prima volta da un bel po’ che la band torna nella sua Austin a lavorare, ma proprio – appunto – del rock’n’roll.

È fatto di quella semplicità lì: dove Hot Thoughts era uno schermo led sul quale proiettare un sacco di colori ed emozioni contrastanti, Lucifer On The Sofa è un vecchio divano, un sigaro e un confortevole bicchiere di whisky.

Non è così antiquato come una simile metafora potrebbe suggerire. La produzione è affidata  al trittico Dave Fridmann (ormai fidato) / Mark Rankin (ingegnere al fianco di Paul Epworth e in proprio producer già a lavoro, tra gli altri, con Queens Of The Stone Age e Weezer) / Justin Raisen (Sky Ferreira, Angel Olsen, Kim Gordon, Yves Tumor, Marissa Nadler) e fa suonare tutto  quanto in perfetto equilibrio tra passato e presente.

Ciò che distanzia d’un miglio gli Spoon da ogni altra band, come sempre, è la qualità della scrittura e l’efficacia degli arrangiamenti. Held, all’inizio, detta il tono di tutto quello che verrà dopo: chitarra ruvida e dinoccolata, voci sparse, riverbero, la sezione ritmica bene in evidenza a tenere tutto in barra anche quando sembra deragliare senza senso.

Il suono è alto e potente e così rimane. The Hardest Cut è un boogie inarrestabile che rinchiude gli ZZ Top in una di quelle palle di vetro che a ribaltarle cade la neve; The Devil & Mister Jones è qualcosa che avrebbe potuto saltare fuori dalla manica degli Stones circa Some Girls. Wild picchia profondo, My Babe torna alla metà del decennio scorso (la tripletta incredibile Kill The Moonlight / Gimme Fiction / Ga Ga Ga Ga Ga), guidata dall’incastro tra piano, acustica e basso puntellante. Raramente gli Spoon hanno usato chitarre così incattivite (pur con molto, molto gusto) come su Feels Alright, mentre On The Radio – voi quanto paghereste per scrivere una roba così?

Il trittico finale (Astral Jacket, Satellite – con tanto di sassoline inedito e assurdo – e Lucifer On The Sofa) sembra voler proiettare tutto in una dimensione ulteriore, di botto là dove l’aria è molto più rarefatta.

Attribuire la paternità di Lucifer On The Sofa agli Spoon sarebbe facile anche a scatola chiusa, certo. Ma, insomma, sarà forse vero che (almeno in questo periodo storico) il rock’n’roll sta morendo lentamente, però c’è modo e modo di andarsene.