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Paul McCartney – NEW

paul-mccartney-newNew è anzitutto un ritorno in grande stile, perché Sir Paul ha smobilitato alcuni dei migliori produttori di questo decennio – Mark Ronson, Ethan Johns e Paul Epworth – ma non ha certo dimenticato il passato che si porta appresso  come un’ombra (Giles Martin).

Ed è un ritorno molto riuscito, a ben 6 anni dall’ultimo disco di inediti (Memory Almost Full) – passati, come al solito, a vagabondare tra musica classica, campagne pro-veg e quella robaccia che rispondeva al nome di Kisses On The Bottom.

Grazie a quel team di produttori ed ad una ritrovata voglia di scrivere canzoni a presa rapida, New si colloca esattamente agli antipodi rispetto al primo sforzo solista dell’ex beatle (McCartney, a.d. 1970): ricchissimo di suoni, farcito di trucchetti di studio tanto da risultare a tratti un po’ freddo (come quei neon in copertina), ma  nulla che faccia sospettare che il cuore caldo del baronetto sia venuto meno.

Anzi, in questo album trovano posto con molta naturalezza sia momenti leggeri leggeri (New – ennesima popsong perfetta, Queenie Eye – puro entertainment -, il rock’n’roll modernista di Save Us o Alligator, ad esempio), sia rievocazioni di un passato che risale addirittura a prima della fama: quelle giornate fatte di lavoro, tragitti in autobus, sigarette raccattate qua e là e l’erotismo fugace delle terze pagine dei giornali raccontate in On My Way To Work; o, ancora, esortazioni positive come Everybody Out There.

E’ comunque la tavolozza sonora usata da McCartney a stupire più di ogni altra cosa: è un solido approccio alla contemporaneità da parte di un artista che non ne avrebbe alcun bisogno, ma che dimostra di essere pienamente in grado di utilizzare certi linguaggi musicali ed asservirli al proprio sconfinato bagaglio.

L’effetto è quasi straniante, tanto che a tratti ci si dimentica di avere a che fare con Macca, non fosse per quelle melodie sempre squisitamente e definitivamente perfette.

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