Appunti Live albums

Ulteriori 10 dischi dal vivo da riscoprire

La prima puntata quasi dieci anni fa ormai, la seconda lo scorso anno. Rieccoci, sorprendentemente (ma non fateci l’abitudine). Tutto il resto sta in una sezione ad hoc.

Daft PunkAlive 2007 (2007)

Descrivere la musica è complicato, quella dal vivo ancora di più e se poi si tratta di musica nella quale (all’apparenza) la componente umana sembra ridotta quasi all’osso figuriamoci. Detto questo, se non siete mai stati ad un live dei Daft Punk, Alive 2007 è un gran bel surrogato da spararsi a tutto volume almeno in salotto. Fa BANG!, BZZZZ, TUNZ-TUNZ-TUNZ e SHHHHHCRQTCH in tutti i punti i giusti. Insomma fa saltare per aria. Tanto basta no? (French) touché.

Led ZeppelinHow The West Was Won (2003)

I Led Zeppelin dal vivo, documentati all’apice della forma e della dissolutezza – cioè durante il tour americano del 1972, in particolare quelle due serate sulla west coast del 25 e 27 giugno (rispettivamente al Forum di L.A. e alla Long Beach Arena). Ad inizio millennio, però, di fronte a How The West Was Won i puristi storsero il naso perché avrebbero preferito le registrazioni integrali di entrambi i concerti al posto di un mashup ma, insomma, erano gli stessi che fino ad un attimo prima si lamentavano di non avere per le mani (…ufficialmente) un live che non fosse The Song Remains The Same – che era (è) ben lontano dall’essere insufficiente. Qui c’è tutto lo strapotere di Page, Plant, Bonham e Jones sottoforma di boogie sfrenati, rimestamenti nella torbida storia del blues elettrico, assoli assai autoindulgenti. Un triplo album che vive di una potenza tesissima e inarrestabile, pesante come la proverbiale zampata di un t-rex che rimbomba fino all’altra parte del Pacifico a ribadire il proprio dominio sul mondo, ristabilendo in un attimo l’ordine naturale delle cose.

Nirvana Live And Loud (2019)

Questo è una specie di incidente accaduto nel dicembre 1993. Un concerto a Seattle, per MTV. I Nirvana, i Pearl Jam, le Breeders. Eddie Vedder che dà buca, influenzato. Kurt e i suoi che allungano il set, alla fine distruggono tutto e invitano la folla ad invadere il palco. Rimangono solo macerie. Un’esibizione epica che è disponibile da qualche anno non solo come bonus della riedizione di In Utero o in video, ma finalmente standalone e audio-only. Regge il confronto con Live At Reading. Se amate certi dettagli: qui c’è Pat Smear alla seconda chitarra, lì no. Il risultato è che il suono di Live And Loud è insieme stabile e turbolento, come una fittissima grandinata di chiodi.

Rod StewartLive 1976-1998: Tonight’s The Night (2014)

Questo album lunghissimo dice che ad un certo momento con Rod Stewart bisognerà fare i conti e che l’immagine che ne rimarrà sarà quella di un performer selvaggio, con una voce ed una presenza scenica strabilianti. Per molti versi la personificazione del rock’n’roll. Sì, pare folle solo pensarlo, considerati i suoi ultimi venti (e passa) anni, ma ormai va tralasciato quell’adagio che vorrebbe il suddetto rock’n’roll come qualcosa ad esclusivo appannaggio della gioventù. Rod è  tra coloro che dimostrano che un modo di starci dentro con abbondante dignità e cazzimma esiste eccome. O almeno, per lui fino ad un certo punto è esistito: grande rispetto per il passato soul, gusto di affrontare il presente qualche che fosse (da Dylan, gli Oasis) e capacità di venire a patti col presente – non foss’altro per concedere l’ennesimo ammiccamento alle (furono) ragazze in prima fila (e in seconda, e terza, e via così).

AC/DCLive (1992)

Dopo un decennio appannato, pur se battezzato dal loro album più grande, il senso degli AC/DC ad inizio ‘90 sta tutto in Live, che mette insieme registrazioni da concerti del ‘91 e ‘92 tra Inghilterra, Canada, Scozia e Russia. La generazione grunge faceva rumore? Loro alzavano ancora più decibel e avevano molto più swing. Il rock’n’roll era zeppo di frontmen sensibili e torturati? Loro sputavano zolfo e scalciavano come lucifero. Vecchia scuola, dura e godereccia.

Bruce Springsteen & The E Street BandLive In New York City (2001)

Live In New York City certo non è la prima scelta quando si tratta di pescare un suo album dal vivo, però rimane un’opera significativa perché le radici del Bruce Springsteen contemporaneo – con la sua immagine tirata a lucido, la sua poesia – stanno qui. Il disco documenta la reunion con la E Street Band a cavallo del giro del millennio, ciò che poi però la rese qualcosa di diverso da un mero revival è il momento più tragico e buio della storia degli States: l’11 settembre 2001. Fu lì che il pubblico riabbracciò Springsteen e che i trentenni / quarantenni di oggi lo conobbero davvero. Fu lì che lui si spese moltissimo abbracciando il bisogno della gente di riscoprire un simbolo autenticamente americano, di un eroe popolare e unificatore, di qualcuno che rappresentasse efficacemente le radici del Paese senza andare indietro a storie ben più complesse e comunque antiche (Dylan). E così The Rising (2002), e così di nuovo insieme alla E Street Band, e così gli show infiniti, lo storytelling e la sincera amicizia con Barack Obama, entrambi consapevoli di rappresentare moltissimo per la storia americana, via fino ad oggi. Il suono è bombastico e comprende sia una strepitosa Tenth Avenue Freeze-Out (già di per sé sempre un momento più che catartico, ma qui il Boss ci piazza dentro anche Al Green e Curtis Mayfield) sia una versione più che ampollosa (e quindi sostanzialmente brutta) di Born In The U.S.A.

John MayerWhere The Light Is: John Mayer Live In Los Angeles (2008)

Where The Light Is è perfetto per ritrovare a John Mayer come un semplice prodigio, soffiandogli via di dosso tutta quell’aura belloccio-glam degli anni zero. Un live diviso in tre parti – una prima acustica e solitaria, una seconda in power trio ed un’ultima con un’intera band alle spalle – tutte equamente essenziali. Il talento con la sei corde è genuino e strabordante, quello di songwriter puro è comunque qui rappresentato al meglio. Il piglio e la tecnica con Mayer cui riacchiappa Hendrix (soprattutto Wait Until Tomorrow), si misura con il blues dei padri (Every Day I Have The Blues), o con la tradizione della musica americana (Free Fallin’) sono inestimabili. Tra l’abbondante repertorio personale, le versioni di Vultures e Slow Dancing In A Burning Room lasciano semplicemente sbigottiti.

Neil YoungTime Fades Away (1973)

La reazione scomposta di Neil Young al gigantesco successo conosciuto con Harvest fu Times Fake Away, un album dal vivo composto interamente da inediti. Una bizzarria, una rivendicazione, una bellissima provocazione. Un pugnetto di brani sputati giù da un palco – e poi spesso dimenticati  – che meritano però un ascolto intenso, fors’anche solo perché di quel Neil Young, quello dei primi ’70, non se ne ha mai abbastanza.

Sonny Rollins A Night At The Village Vanguard (1957)

Prima della rivoluzione di John Coltrane, il sax tenore aveva un solo padrone: Sonny Rollins (e comunque il testa a testa con Coltrane tuttora è meravigliosamente irrisolto). A Night At The Village Vanguard è uno di quegli album che spiega perché. Rollins, accompagnato dalla sola sezione ritmica (contrabbasso, batteria), tiene su tutta la baracca dispiegando senza sforzo apparente la sua fantasiosa propulsione bop tra standard jazz (moltissimi) e originali (meno) con il risultato che questo, più che un live album, è un sogno sudaticcio e conturbante.

Paul WellerCatch-Flame! (2006)

Registrato dal vivo all’Alexandra Palace di Londra, Catch-Flame! è una bella fotografia di Paul Weller colto nell’attimo di ritrovare pieno vigore dopo che  il giro del millennio l’aveva colto un po’ sottotono. As Is Now era già storia, 22 Dreams arriverà a breve a sancire una vena artistica nuova ed indagatrice. Intanto qui il Modfather aggredisce il suo repertorio con furore inusitato, complice una backing band stratosferica e la scelta di fare definitivamente pace con i trascorsi marchiati Jam e Style Council. Altro elemento degno di nota: Weller è un chitarrista fuori dall’ordinario, anche se nessuno (generalmente) si sogna di metterlo in qualche classifica ad hoc.