Appunti Greatest Hits / Best Of

100 Best Of da riscoprire (10)

Abbiamo iniziato questa lista di 100 antologie da rispolverare nel maggio dello scorso anno.

Erano i primi giorni dopo il lockdown impostoci come misura che avrebbe dovuto tenerci al sicuro dalla pandemia, e volevamo fare un po’ il punto su molti ascolti che avevano accompagnato quel periodo.

Ci ritroviamo ora, marzo 2021, che la situazione non è granché cambiata (verrebbe da dire nonostante gli sforzi, ma ormai è chiaro che questo Paese più che farli – gli sforzi – li richiede) e forse è anche peggio, ancor più estenuante e votata all’incertezza di un orizzonte molto confuso. Magari tra qualche anno riprenderemo noi stessi questo post (o qualcuno lo scoprirà) e allora porterà a galla ricordi che per allora saranno più che altro confusi e sbiaditi. Lo speriamo.

In ogni caso: nel cammino, abbiamo scoperto che forse 100 sono pochi e ne avremmo almeno una decina tenuti fuori all’ultimo. Verranno buoni per una nuova serie, o per una sorta di post scriptum a questa.

Abbiamo però barato sin dall’inizio. Da allora erano già sicuramente più di 100 perché di alcuni avevamo già parlato diffusamente in questi dieci anni (!) di blog (…quanto siamo fuori dal tempo?) : The Very Best Of J.J. Cale, Central Belters (Mogwai), The Who Hits 50!, Payola (The Cribs), Get The Message: The Best Of Electronic, Le Origini (Lucio Battisti), Backtrackin’ (Eric Clapton), Wingspan (Paul McCartney, ma non solo), i singoli dei CAN, Oceanside 1991-1993 degli sconosciuti deardarkhead, Long Hot Summers: The Story Of The Style Councyl, Tunes 2011-2019 (Burial), Spaced Out di quel genio di Patrick Adams.

E altri arriveranno di certo. Buon ascolto. Tenete botta.

Shed Seven Going For Gold (1999)

Oasis, Blur, Verve, Pulp sono i nomi essenziali della rinascita brit degli anni ’90. Dietro di loro una pletora di band che si fa quasi fatica a ricordare. Alcune di quelle meritano però una decisa menzione: Bluetones, Elastica, Sleeper, Ocean Colour Scene, Gene, Cast e – appunto – Shed Seven. A questi ultimi si deve forse la canzone che meglio riempie uno stadio dopo Wonderwall, Bittersweet Symphony o Don’t Look Back In Anger: Chasing Rainbows. E, a parte quella, un sacco di altre melodie accattivanti. La maggior parte sono raccolte in questo Going For Gold, peccato per la copertina a dir poco pacchiana.

The Black Crowes – Greatest Hits 1990-1999: A Tribute To A Work In Progress… (2000)

Negli anni ’90 nessuno ha saputo scrivere e suonare il rock’n’roll – quello elettrico, eccitante, venato di soul e dotato di gran pedigree direttamente dal sud degli States – come i Black Crowes dei fratelli Robinson. Shake Your Money MakerThe Southern Harmony And Musical Companion, AmoricaThree Snakes and One Charm, By Your Side: a voler pescare da quegli album c’è l’imbarazzo della scelta e Greatest Hits 1990-1999 avrebbe potuto essere un doppio. Si limita all’essenziale, ed il titolo è azzeccassimo perché la band avrebbe continuato a regalare alcune perle anche nel decennio successivo (almeno), nonostante vicende e scazzi come solo in famiglia.

Prefab Sprout – 38 Carat Collection (1999)

Steve McQueen è un capolavoro indispensabile, ma non testimonia quante popsong perfette abbia scritto Paddy McAloon. Molte stanno altrove: un po’ sul debutto Swoon (che però dei Prefab Sprout è anche l’album più complesso), tantissime su From Langley Park To Memphis, altre sparse tra gli album successivi almeno fino ad Andromeda Heights, nessuno onestamente da prendere in blocco. Però, appunto, a non saperlo il rischio è di perdersi qualcosa di meraviglioso. 38 Carat Collection mette insieme tutto il possibile, e il possibile è strabiliante.

Dave Brubeck Dave Brubeck’s Greatest Hits (1966)

Prima di Dave Brubeck, il grande pubblico americano considerava il jazz musica da – e per – neri. Fu questo bianco californiano classe 1920, dall’aria borghese e rassicurante, a sdoganarlo e renderlo digeribile su vastissima scala. Ci riuscì rendendosi responsabile (insieme al sassofonista Paul Desmond, va detto) di Take Five, cioè una delle composizioni immortali del genere, e da lì sfornando una serie di brani di successo che nascondevano scale e intrecci colti e complessissimi nelle trame di motivi orecchiabilissimi. Questa antologia risale al ’66 ed è pienamente esaustiva del suo genio.

Fleetwood Mac – The Pious Bird Of Good Omen (1969)

I Fleetwood Mac sono stati una delle band di spicco del british blues della seconda metà dei sixties: questo fatto s’è perso nella memoria, travolto dai loro successi smaccatamente radiofonici del decennio successivo ed anche dal fatto che loro stessi abbiano voluto, in qualche modo, fare tabula rasa di quel periodo. Di allora basterebbe ricordare le tre cose fondamentali che stanno su The Pious Bird Of Good Omen : il funambolismo chitarristico di Peter Green (uno davvero fuori, per averne un’idea vi rimandiamo al libro All The Madmen di Clinton Heylin), Black Magic Woman (che poi spopolerà nella rilettura dei Santana) e Albatross, ad oggi una delle cose più strepitose nelle quali potreste incappare.

Japan The Collection (2009)

«Prima di scoprire i R.E.M. a metà anni ’80, ascoltavo band tipo i Japan. Musica per ammazzare il tempo». Forse Thom Yorke fu troppo netto in questo giudizio, d’altra parte c’è tanto di peggio della band di David Sylvian. Ma va anche detto che i Japan furono in grado di produrre musica che spesso piega i nervi al limite della sopportazione e certamente oltrepassa i limiti del buon gusto; e non ci sono Quiet Life, Gentlemen Take Polaroids o Tin Drum che tengano – molta sta proprio dentro quegli album. Valgono, però, come fotografia di quell’incrocio tra il post punk più wave ed il synth pop pre-new romantic, e comunque la loro cosa migliore è un singolo che sta in nessun album: Life In Tokyo.

Small Faces – Ultimate Collection (2003)

Ultimate Collection mette insieme il periodo che gli Small Faces passarono sotto l’egida della Decca (19651967) e quello sotto la Immediate (’67-’68). Quale che fosse la loro casa, in soli quattro anni la band formata da Steve Marriott, Ronnie Lane, Ian MacLagan e Kennie Jones produsse praticamente le tavole della legge del brit rock del periodo e da lì a venire. Il loro lascito  è gigantesco e sta ben racchiuso in tutti questi brani. Per il resto – ed è un resto altrattanto incredibile: Marriott avrebbe poi messo insieme gli Humble Pie con Peter Frampton; gli altri tre sarebbero diventati i Faces con Rod Stewart e Ronnie Wood (entrambi ex Jeff Beck Group); poi nel ’78 Jones avrebbe rimpiazzato Keith Moon negli Who – non basterebbe un enorme box set.

Sam Cooke The Best Of Sam Cooke (1962)

Avete presente il film One Night In Miami? Ecco: questa antologia spiega esattamente la ragione per cui Sam Cooke veniva accusato di non sposare la lotta dei neri d’America, di essere solamente un entertainer per bianchi, di aver tradito la soul music per il pop da classifica. L’accusa era fondata, almeno nel senso che sarebbe stata necessaria Blowin’ In The Wind, unita ad assidue frequentazioni con Malcom X, per far si che mettesse il suo talento al servizio di ciò che i tempi richiedevano. E chissà come sarebbe andata se non fosse stato ucciso nel dicembre del ’64, chissà se avrebbe continuato sulla strada tracciata da A Change Is Gonna Come. Su The Best Of Sam Cooke quel brano non c’è, ed in qualche modo è tutto perfetto così perché rimane una mosca bianca (ops!) nella sua discografia. Qui sta, piuttosto, il lavoro per cui Sam Cooke è ancora ricordato come un songrwriter dal talento inimmaginabile, un cantante dalle doti praticamente divine ed un inguaribile romantico. Insomma questo è il Sam Cooke da cui tutti poi avrebbero preso qualcosa (da Tom Waits a Rod Stewart, da Bruce Springsteen ai Pretenders, da James Taylor a Van Morrison e via andare), con buona pace di Malcom X e dell’attivismo politico.

Scritti PolittiAbsolute: The Best Of (2010)

Traiettoria assurda, quella degli Scritti Politti di Green Gartside: dagli squat di Leeds della fine degli anni ’70, apparentemente destinati ad un percorso fieramente punk e colto, invece finiti in cima alle classifiche con un suono che era praticamente la controparte britannica di Prince e Madonna. Avvicinatevi ad Absolute soprattutto se siete profondamente convinti che la plastica non possa scintillare: vi ricrederete alla grande.

Badfinger Timeless… The Musical Legacy (2013)

Se siete convinti che quello degli Oasis sia il rock’n’roll più beatlesiano che esista, fate un giro con i Badfinger. Certo questa band gallese più che influenzata dai Fab Four fu loro debitrice: furono Lennon & co. a scoprirli e farli firmare per la loro Apple Records e McCartney scrisse il loro singolo di maggior successo, Come And Get It (la demo sta su Anthology 3 e, più di recente, sull’edizione per il 50° anniversario di Abbey Road). L’eredità dei Badfinger sta in una serie di casini infiniti (molti dei quali legati alla dissoluzione proprio della Apple Records), nessun album davvero memorabile ma un pungo di ottimi brani sì.